Ma il Caudillo non preparò la democrazia di Angela Bianchini
Ma il Caudillo non preparò la democrazia Ma il Caudillo non preparò la democrazia 1939, comincia la triplice oppressione P ARECCHIE volte, in queste ultime settimane, sono stata tentata, se non altro per ragioni letterarie, a intervenire nel dibattito sulla Guerra di Spagna e sul regime franchista, innescato dal libro di Sergio Romano, edito da Liberal: Due fronti. La guerra di Spagna nei ricordi personali di opposti combattenti di sessantanni ja. Uno dei due combattenti era Giuliano Bonfante, di parte repubblicana fino al 1937, quando abbandonò il campo per contrasti con i comunisti: io l'ho conosciuto esule negli Stati Uniti, nel 1943, alla Scuola Spagnola di Bread Loaf, in Vermont, in mezzo agli esuli spagnoli, il grande e glorioso gruppo àeììaEspanaperegrina: Fedro Salinas, Jorge Guillén, Americo Castro, Isabel e Paco Garcia Lorca, Pilar de Madariaga, e tanti altri. Tutti liberali, tutti anticomunisti, tutti però nell' impossibilità di tornare in Spagna dove sarebbero stati immancabilmente processati e incarcerati dal regime di Franco. L'articolo di Barbara Spinelli «Le menti prigioniere della memoria» (La Stampa, 24 maggio) mi ha suggerito alcune riflessioni. Non vorrei entrare in merito al problema generale delle «menti prigioniere della memoria» e incapaci perciò di interessarsi alle nuove prospettive fornite da archivi e documenti fino a oggi sconosciuti. Vorrei limitarmi a parlare della qualità della vita sotto il regime franchista. A differenza di quanto è accaduto in Italia durante il ventennio fascista, e nonostante la pesante censura, le testimonianze chi viveva in Spagna durante il regime di Franco sono moltissime. In Anos de penitenda, pubblicato nel 1975, l'editore Carlos Barrai ci ha narrato come, nel 1939, dopo la vittoria franchista, non solo lui, che aveva undici anni, ma tutta la Spagna fosse passata dall'atmosfera irreale della guerra alla realtà ben precisa e tangibile di tre tipi di oppressione: i gesuiti del collegio, i fascisti della falange e la vita familiare. Tre oppressioni che si davano la mano perché molte famiglie borghesi, anI che di professionisti e anche di ri¬ berali, si convinsero, in quegli anni, «che mandare i figli dai gesuiti» era «uno dei riti espiatori con i quali inconsciamente pretendevano di saldare la colpa collettiva». Si trattava di «preti della vittoria... esseri provvidenziali... investiti di un'autorità senza limiti e una ragione senza frontiere». Una testimonianza assai vicina a quella della scrittrice Carmen Martin Gaite (nata nel 1924) che, appartenendo invece alla Sezione Femminile del partito, si trovava sotto la protezione speciale di Isabella la Cattolica, che aveva «istituito la Santa Hermandad, espulso gli ebrei traditori, si era privata dei suoi gioielli per finanziare l'impresa più gloriosa della nostra storia». E' verissimo che questo clima medievale fu contraddetto, durante il franchismo, dai permessi concessi ad alcuni scrittori di venire in Italia nel 1959 (nella stessa data in cui vennero, per la prima volta, gli scrittori sovietici) e anche dall'istituirsi del Premio Internazionale Formentor, ma a fare da contraltare a questa irregolare e capricciosa permissività rimangono i 50 mila morti (fino agli Anni 60) e l'ultima vittima di Franco, uccisa con il garrote, nel 1964. Per cui, mi si perdoni l'ironia, sostenere che Franco abbia preparato la Spagna alla democrazia è un po' come dire che Pio IX aveva spianato la strada alla presa di Roma. Qualcosa la preparò Franco, è vero, ed è l'educazione del re Juan Carlos e si deve a lui, e ai democratici di sinistra (non alla destra, come sostiene oggi impudicamente il partito popolare di Aznar), se la Spagna, faticosamente ma con una voglia di libertà esattamente proporzionale alla mancanza di libertà sofferta sotto il franchismo, è riuscita a reinserirsi nel contesto delle nazioni democratiche. In Spagna c'è ancora una grande difficoltà a parlare della Guerra Civile. Perché? Se lo è chiesto, recententemente, il giornalista Juan Cruz. E così, con parole tragiche, ma che, tutto sommato, dobbiamo condividere, gli ha risposto Eduardo Haro Tecglen {Babelia, 25 aprile): «Questa non è stata una guerra civile come le altre... fu l'ultima battaglia della Pdconquista: la Crociata, il trionfo del Cristianesimo sull'eresia. Una guerra civile che creava ideologia, e la faceva finita con tutte le divisioni e tutti i pensieri. E collocava le sue genti nei posti definitivi e definitori. Più tardi, (anche) i figli delle sue genti, i nipoti delle sue genti; a loro volta, i propronipoti, quelli che vinsero i mori e gli ebrei... sono dinastie che sopravvivono e non hanno quasi più niente a che vedere con la Spagna di Franco se non nella trasmissione personale; ed è logico che non desiderino che nessuna letteratura ripercorra la loro genealogia». Angela Bianchini Un clima medievale tra la famiglia, ' i gesuiti e la falange
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