GUERRA DI SPAGNA il suicidio della sinistra
GUERRA DI SPAGNA il suicidio della sinistra A sessantanni dalla fine della Repubblica sono chiare le corresponsabilità dello stalinismo, ma permangono le contraddizioni nel rileggere la Storia GUERRA DI SPAGNA il suicidio della sinistra DUE antifascismi, due concezioni della storia e dell'impegno, due modi di pensare la crisi e la rivolu— zione. La Repubblica si desta eroicamente nella Speranza e si suicida nell'Omaggio alla Catalogna: l'epopea di Malraux si conclude e si nega nel dramma di Orwell. Un dramma che la Repubblica aveva rifiutato di vedere. Il velo dell'unanimismo antifascista si è sollevato, le discordie e la repressione staliniana si rivelano. Eppure, criticare nel 1998 l'atteggiamento dei comunisti del 1938 è blasfemo. E' rivedere la Storia, legittimare i nostalgici della dittatura franchista. Che insistenza nella cecità! La sinistra vuole un mito virginale: è stata, è e deve restare la Guerra di Spagna, vista attraverso il prisma deformante e, peggio, deformato della Speranza. Si vagheggia di armonia antifascista, si dimenticano quindi i fatti, si disprezzano vite sacrificate. Si celebrano le brigate comuniste, si relega nella pattumiera della storia il combattente solitario, il volontario anarchico, trotzkista o romantico. Quando il governo spagnolo festeggia gli eroi delle brigate internazionali, delega il compito di stilare la lista dei superstiti a organizzazioni legate al pc, proprietario abusivo di questa pagina di storia. Il senza partito sarà senza palma. Per lui, nel 1998 a Madrid, non c'è stata né cittadinanza onoraria, né medaglia. Doppiamente superstite, doppiamente escluso. La sua esistenza stessa ravviva una verità storica occultata dalla Storia: la deriva staliniana della Repubblica a partire dal 1937. Tornare su questa zona d'ombra dell'antifascismo non è che il rovesciamento di un revisionismo edificato fin dalle origini. Il partito ha combattuto Franco, i suoi crimini sono dunque assolti. Ma che dire di fronte al fatto che quegli stessi crimini hanno in gran parte permesso il trionfo del Caudillo? Mentre Malraux canta il sole della Quinta Armata che sorge sulla Repubblica, la notte spunta all'orizzonte della Barcellona rivoluzionaria. Separato dai sindacati di massa (Ugt socialista e Cnt vicina alle tesi anarchiche condannano il regime sovietico sin dal 1921), senza legami con le milizie popolari che hanno salvato la Re¬ pubblica nel '36, molto minoritario alle elezioni, il partito comunista intendeva introdurre elementi sobillatori nel potere attraverso l'esercito e un'alleanza con l'ala destra del partito socialista, contro l'ala sinistra e Caballero. Cominciò così un errore strategico fatale. Vergognosamente abbandonata dagli occidentali, Francia in testa, la Repubblica era logisticamente più debole dell'esercito nazionalista. La supremazia del nemico e il predominio della sua artiglieria erano resi incont es t ab ili dall'aiuto italo-tedesco. L'esercito lealista correva al disastro seguendo esclusivamente le regole militari dell'avversario, opponendogli simmetricamente truppe regolari strutturate all'occidentale o alla sovietica, e trascurando volontariamente la guerra partigiana. Il partito comunista si ostinò a rifiutare qualsiasi tattica di guerrilla (quella guerra di partigiani che a suo tempo fece piegare Napoleone). Privò risolutamente le unità anarchiche e trotzkiste, contadine o urbane, di ogni rifornimento di armi e di munizioni. Questo «errore di giudizio», con l'aggiunta di una repressione feroce contro i leader rivoluzionari, fa dubitare del vero obiettivo perseguito dagli aficionados della III Internazionale. Più che a vincere Franco, il partito non pensava forse a «congelare» la rivoluzione spagnola? Aberrante dal punto di vista della lotta antifascista, la strategia del pce diventa chiara se si suppone che essa mirasse prima di tutto a domare sovieticamente il campo repubblicano. Barcellona era la città faro della rivoluzione, la capitale un po' folle di un sogno ugualitario simbolizzato da un'immagine: gli operai miserabili dei sobborghi che pranzavano e cenavano serviti da maitres d'hotel in guanti bianchi, nei saloni sontuosi del Ritz, trasformato dagli anarchici in mensa popolare. Si doveva rimettere Barcellona sotto controllo. Maggio 1937: scoppia il primo grande scontro inter-repubblicano, dopo l'attacco da parte delle guardie civili (alleate con il partito socialista unificato di Catalogna psuc - sottomesso ai comunisti) della Centrale telefonica controllata fino ad allora dalla Cnt. I giornali vengono censurati. Il poum (partito di obbedienza trotzkista) viene interdetto, i suoi membri arrestati e fucilati, in quanto «Quinta Colonna del Franchismo». Si assiste a un «pogrom politico» (Orwell). L'epurazione totalitaria del Sim (Servizio di Investigazione Militare) sospinge la Catalogna nella notte fascista. Barcellona cade perché la sua popolazione stremata non capisce più perché deve sacrificarsi, non vuole più rischiare tutto in nome di ciò che sta diventando una gigantesca menzogna. Barcellona cade non per viltà, ma per disperazione. Orwell spezza il silenzio di Malraux, viene accusato di fare il gioco del nemico, ma lui resta fedele «all'opinione passata di moda che ritiene che alla lunga dire menzogne non paga». Camuffare i crimini del Komintern significa uccidere mdirettamente la Repubblica. La storia gli ha dato ragione, ma la Storia gli ha confiscato la sua lezione. Non è arrivato il momento, a 60 anni di distanza, di rivisitare le cripte silenziose della Storia? La sinistra italiana sprofonda nelle sue contraddizioni: volendo salvare tutta la Repubblica spagnola, assassina una seconda volta i suoi servitori più fedeli, vittime di un altro mostro, un mostro che lei covava - lo stalinismo. L'aiuto fascista e nazista, l'imperdonabile indifferenza delle democrazie occidentali non spiegano da soli il trionfo di Franco. La Repubblica si era separata dal popolo. Infeudata a Mosca, aveva «congelato» la rivoluzione e le proprie libertà e in ciò stesso si era condannata alla sconfitta. //pc, obbedendo a Mosca, si ostinò a rifiutare qualsiasi tattica di «guerrilla», privò le unità anarchiche e trotzkiste di ogni rifornimento, represse ferocemente i leader rivoluzionari parò la democrazia plice oppressione viene interdetto, i suoi membri arrestati e fucilati, in quanto «Quina Colonna del Franchismo». Si assiste a un «pogrom politico» (Orwell). L'epurazione totalitaria del Sim (Servizio di Investigazione Militare) sospinge la Catalogna nella notte fascista. Barcellona cade perché la sua popolazione stremata non capisce più perché deve sacrificarsi, non vuole più rischiare tutto in nome di ciò che sta diventando una gigantesca menzogna. Barcellona cade non per viltà, ma per disperazione. Orwell spezza il silenzio di Malraux, viene accusato di fare il gioco del nemico, ma lui resta fedele «all'opinione passata di moda che ritiene che alla lunga dire menzogne non paga». Camuffare i crimini del Komintern significa uccidere mdirettamente la Repubblica. La storia gli ha dato ragione, ma la Storia gli ha confiscato la sua lezione. Non è arrivato il momento, a 60 anni di distanza, di rivisitare le cripte silenziose della Storia? La sinistra italiana sprofonda nelle sue contraddizioni: volendo salvare tutta la Repubblica spagnola, assassina una seconda volta i suoi servitori più fedeli, vittime di un altro mostro, un mostro che lei covava - lo stalinismo. L'aiuto fascista e nazista, l'imperdonabile indifferenza delle democrazie occidentali non spiegano da soli il trionfo di Franco. La Repubblica si era separata dal popolo. Infeudata a Mosca, aveva «congelato» la rivoluzione e le proprie libertà e in ciò stesso si era condannata alla sconfitta. //pa diandifef
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