Anoressia, madri sott' accusa di Maria Giulia Minetti
Anoressia, madri sott' accusa Presentata la ricerca di una équipe milanese: «Più guarigioni con la terapia familiare» Anoressia, madri sott' accusa «Oppressive e fissate con la linea» MILANO. Ormai è un'epidemia, e ogni proposta terapeutica, ogni interpretazione suscita un interesse appassionato. Presentato ieri all'università Cattolica, arriva in libreria «Ragazze anoressiche e bulimiche», Cortina editore, l'ultima ricerca sul dilagante fenomeno dell' «affamamento autoimposto» a cura dell'equipe della Scuola di psicoterapia della famiglia di Milano, fondata dalla psichiatra e pioniera degli studi sull'anoressia Mara Palazzoli Selvini, che già nel 1945, quando l'anoressia era una malattia sconosciuta (se ne cercava l'origine in una disfunzione dell'ipofisi), ne intuì l'origine psichica. Oggi che l'anoressia ha assunto le dimensioni di un vero e proprio «flagello sociale», i membri dell'equipe di Mara Palazzoli Selvini rivelano, nel nuovo libro, i risultati a lungo termine del loro metodo di «terapia familiare», asserendone la supremazia sugli altri metodi. Ne abbiamo parlato con Matteo Selvini, figlio della professoressa e suo collaboratore (è, con sua madre, Stefano Cirillo e Anna Maria Sorrentino, tra gli autori del volume). Al dottor Selvini preme innanzitutto mettere in evidenza le «novità» della ricerca: «Direi che sono sostanzialmente due. La prima riguarda il "tempo". Siamo andati a vedere, cioè, che cosa è successo a un gruppo di anoressiche - 143 per l'esattezza - vent'anni dopo la terapia. Premetto che, mediamente, s'è trattato di terapie brevi». E che cosa avete trovato? «Che quasi tutte stanno meglio. Meglio, comunque, rispetto alla media». I dati medi di mortalità e cronicità, nelle anoressiche, sono molto alti. Si parla del 5-10 per cento di mortalità e del 40-50 per cento di cronicità, mentre nel gruppo esaminato dall'equipe della professoressa Selvini i dati si riducono all' 1 per cento di mortalità e al 10-15 per cento di cronicità. Il dato è tanto più rilevante se si pensa che, per ammissione stessa dei terapeuti, i trattamenti sono stati per lo più móltó'brevl «Ma - tiene a precisare il dottor Selvini - il punto importante è la disponibilità della paziente e della sua famiglia a lasciarsi coinvolgere "insieme" nella terapia». Questa disponibilità contiene "in nuce" la guarigione, ostacolata soprattutto dal rifiuto di mettersi in gioco delle parti in causa. Sconfiggere il rifiuto è la sfida del terapeuta. Tutto diventa molto più difficile, naturalmente, quando la paziente non vive più in casa. E' questo il motivo per cui i membri della Scuola di psicoterapia della famiglia mettono l'accento sull'attenzione con cui i genitori debbono seguire i comportamenti alimentari delle fighe, spesso astutissime nel celare i propri disordini. Non a caso il disturbo oggi più diffuso e a crescita più preoccupante è la cosiddetta <òuhmia a peso normale», owerossia una malattia che riesce a celarsi in un gioco sfibrante di abbuffate e vomito che tengono, per così dire, «in equilibrio» il peso corporeo. Le più recenti ricerche epidemiologiche mostrano che a fronte di una anoressica restrittiva (cioè palesemente magra in modo patologico) e di una anoressica bulimica (cioè palesemente altalenante tra eccessi di magrezza e ingrassamenti abnormi, la forma morbosa più grave, anch'essa in preoccupante aumento) ci sono almeno tre bulimiche a peso normale, diaboliche dissùnulatrici capaci di ingannare per anni occhi benevolmente distratti. Responsabile prima e inconsapevole dei disturbi alimentari delle figlie: la madre. «Ma dire che all'origine dell'anoressia mentale ci sia un rapporto sbagliato con la madre è quasi una tautologia», avverte Selvini. E intende dire che un'intuizione tanto semplice non porta molto in là nel processo di comprensione. Anzi. Storicamente s'è creduto che tutte le anoressiche fossero simili e tutte r "unente «colonizzate» da una , -ire oppressiva cui la figlia si sottraeva simbolicamente rifiutando il cibo o della cui invadenza si consolava rimpinzandosene (spesso, come abbiamo visto, le due fasi si alternano). Secondo i terapeuti della Scuola selviniana - ed è la seconda novità della ricerca - le cose sono più complesse, i «tipi» di anoressiche ben distinti: la dipendente, la «borderline» (un carattere autolesionistico che, nei maschi, spesso sfocia nella tossicodipendenza), l'ossessiva, la narcisista, e nel gioco patologico è coinvolta tutta la famiglia, non solo la madre, i cui comportamenti oppressivi o assenti (l'assenza può essere «invadente» più della presenza) sono, del resto, a loro volta condizionati dal vissuto familiare. Quanto poi all'estendersi del fenomeno anoressico, alla «fissazione» sul corpo magro, per cui sempre più adolescenti esprimono il loro disagio e il loro desiderio di valorizzazione di sé rifiutando il cibo, la ricerca dell'equipe salvinesca mette giustamente l'accento su una prevenzione primaria basata su un buon senso comune troppo spesso disatteso: madri, astenetevi dai giudizi sull'aspetto delle vostre figliolette, scoraggiate le diete. Più facile dirlo che farlo, è l'amara conclusione, perché nella cultura del «look» siamo tutti, sventuratamente, imprigionati. Maria Giulia Minetti «E' in aumento la bulimia a peso normale: tra abbuffate e vomito le ragazze riescono a nascondere la loro malattia» Nuovi studi su anoressia e bulimia indicano le responsabilità delle madri e consigliano una terapia che coinvolga tutta la famiglia
Persone citate: Anna Maria Sorrentino, Mara Palazzoli, Matteo Selvini, Stefano Cirillo
Luoghi citati: Milano
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