Grandi affari in nome di Diana

Grandi affari in nome di Diana Il Fondo intitolato alla principessa ha raccolto 500 miliardi. Polemiche: non è beneficenza ma commercio Grandi affari in nome di Diana PLONDRA ASSANO i mesi, mutano le stagioni, ma il ricordo di Diana è tuttora vivido e vibrante come dimostrano le infocate polemiche che divampano nel mondo di lingua inglese. All'origine della controversia il Fondo creato per incanalare il fiume di offerte scaturito dopo la morte di Diana e far sì che «le emozioni confluiscano in attività benefiche e costruttive». Ma-c'è chi protesta: «Questa strada ci porta alla commercializzazione della principessa». E' un timore giustificato. Un disegno sul «Times» mostra una Lady Di triste e pensosa, su un cippo con l'epitaffio «In Meraoriam Royal Dignity», ai piedi una corona di fiori con la scritta «Goodbye Buon Gusto». E' un uragano di critiche scatenato, paradossalmente, dallo straordinario successo del «Diana, the Princess of Wales Fund», un'organizzazione la cui destrezza finanziaria ha lasciato tutti sbalorditi. Secondo le ultime stime, il Fondo avrà presto raccolto 200 milioni di sterline (500 miliardi di lire) che saliranno speditamente a 500 milioni. Ma secondo un commentatore il Fondo potrebbe arrivare a disporre di mille milioni di sterline. Anche le voci più adirate ammettono che una simile cornucopia renderebbe possibili generosi aiuti agli sventurati cui Diana tendeva la mano. Ma domandano: «E' proprio necessario vendere Diana come se fosse un bene commerciale?». Ad accendere collera e sdegno la decisione del Fondo di vendere alla margarina Flora il diritto di decorare i suoi contenitori con la firma di Diana. Il conte Spencer, fratello della principessa, protestò contro «l'oltraggio». Anthony Julius, che del Fondo è il presidente, ha respinto gli attacchi. Il guaio è che la margarina è stata soltanto il primo di una serie di prodotti. Si assiste insomma a un colossale merchandising del nome e dell'immagine di Lady Di. E le prospettive in America sono elettrizzanti o agghiaccianti, secondo il punto di vista. Una grande agenzia di pubblicità di New York annuncia gongolante: «L'esplosione commerciale negli Usa è già un'industria, con un valore pari all'economia di una nazione del Terzo Mondo». Le somme raccolte in America non andranno al Memorial Fund, a meno che gli avvocati inglesi non vincano alcune delle molte cause davanti ai tribunali. Il Fund, ad esempio, sta cercando d'impedire la produzione e la vendita di una «Diana Doli», una bambola, una Diana Barbie, con LI costume che la principessa indossava, in Angola, durante la sua ultima campagna contro le mine. Ma per quanto intenso possa essere il disagio suscitato dallo sfruttamento commerciale della principessa, nessuno oserà mai prendere iniziative che potrebbero dlmmuire il flusso di soldi verso opere di beneficenza. Si può soltanto sperare che non si avveri il disegno del Times e che l'estremo omaggio a Diana non sia una corona di fiori con la scritta «Goodbye, buon gusto». Mario Clrìello

Persone citate: Anthony Julius, Diana Barbie, Mario Clrìello, Wales

Luoghi citati: America, Angola, New York, Usa