La realtà di Wozzeck è intrisa di sangue di Sandro Cappelletto

La realtà di Wozzeck è intrisa di sangue Trionfa al «Maggio» l'opera di Berg La realtà di Wozzeck è intrisa di sangue Felice debutto di Friedkin nella lirica Applausi all'orchestra diretta daMehta FIRENZE. Una «*ce sempre, al centro o di taglio sulla scena: il raggio di un faro, di un lampione, di tante pile che improvvisamente i poliziotti, mentre cercano Wozzeck ormai annegato, puntano verso il pubblico realizzando l'idea che sta alla base dello spettacolo di William Friedkin: il mistero e la volontà del fato prima o poi rivolgeranno il proprio sguardo verso ognuno di noi. Il debutto nella lirica del regista americano avviene nel segno di un sostanziale rispetto della musica e delle intenzioni espressive di Alban Berg: Friedkin è consapevole che solo camminando lungo la strada del realismo, via via apparirà l'aspetto visionario e folle della vicenda. Talvolta, eccede: se in un'opera metti una donna ridotta a quarto di bue alle porte del quartiere popolare di ima dannata periferia tedesca tra le due guerre, quell'immagine non durerà solo il tempo di qualche fotogramma, resterà lì per tutto l'episodio diventando caricaturale. E l'assistente deforme del Dottore è un omaggio troppo esplicito, didascalico, allo studio del Dottor Mabuse, di Frankenstein, alla cara memoria di Bela Lugosi. Ma persuade, e l'entusiasmo del pubblico ne è stata una conferma, la coerenza della lettura di Friedkin, sostenuta dalle scene di Francesco Zito: un'atmosfera desolata, nebbiosa, solcata da macchie violente di colore nella scena del ballo, folle di squarci prospettici nel disegnare, con un'energia degna di Piranesi, lo squallore della caserma; nell'offrire, all'alzarsi del sipario, l'immagine di un grande specchio concavo che riflette e deforma il capitano e il sol¬ dato. Protagoniste anche le luci, che Rick Fisher disegna in un intreccio di traiettorie, oppure in quell'unico fascio che, alla fine, illumina il figlio di Wozzeck e Marie: il suo cavallino di legno diventa un fucile, imbracciato da bravo soldatino. L'Europa avrà presto bisogno anche del suo sangue. E protagonista è l'orchestra del Maggio Musicale, guidata da Zubin Mehta. Al suo primo incontro con Wozzeck, il direttore indiano compie la scelta che appare oggi più opportuna: in questo Berg non vive solo il grido espressionista, né soltanto l'intimismo lirico. Con estremo nitore, Mehta racconta l'insieme dei fattori che producono il capolavoro: la presenza della nuova lingua dodecafonica nata a Vienna negli Anni Venti, l'eredità sinfonica, l'omaggio a Mahler e alle sue danze stanche, la forma più elaborata accanto alla canzone da strada. Il suo è un Wozzeck storicizzato e classico, ma non esangue. Nella compagnia di canto, tutta dignitosa, nessuna individualità sbalza in particolare rilievo, tranne Rudolf Mazzola e il suo Dottore segaligno, malvagio, nervosamente sadico. Un acuto impiccato non oscura la misura dimostrata da Katarina Dalayman (Marie), mentre Pavlo Hunka rende un Wozzeck tormentato,- introflesso, scosso da ondate di delirio. Pubblico folto ed entusiasta; spettacolo senza intervallo: 90 minuti per dimostrare, una volta ancora, la perfezione musicale e narrativa di questo capolavoro che il passare del tempo ringiovanisce. Sandro Cappelletto

Luoghi citati: Europa, Firenze, Vienna