Guggenheim, strategia di un successo

Guggenheim, strategia di un successo Intervista con Thomas Krens direttore dei cinque musei in America ed Europa Guggenheim, strategia di un successo A New York l'arte sale in moto NEW YORK mostra sulla dopo quella «E' un buon risponde PERCHE' la motocicletta sulla Cina? I contrasto», asciutto e minimalista, come l'arte che ama, Thomas Krens, direttore del Guggenheim, il museo multinazionale al centro dell'attenzione nel mondo dell'arte sia per le scelte che fa, sia perché ha introdotto regole americane nei suoi musei europei di Venezia, Berlino e Bilbao. Accusato di essere megalomane, imperialista, opportunista, Krens, 52 anni a luglio, pensa in grande. Di sé dice: «Sono un pragmatico» e, senza perdere tempo, aggiunge: «Quello che conta è il risultato». Metà del tempo lo passa a raccogliere fondi e metà a spenderli. Col risultato, appunto, che il Museo ha appena ricevuto una donazione di 50 milioni di dollari da parte di Peter Lewis, presidente della Progressive Corporation, la megacompagnia di assicurazioni di Cleveland. Sono il dono più generoso mai fatto al Museo fino ad oggi e servirà ai lavori di restauro e di ampliamento. Krens, da parte sua, può spendere solo un milione di dollari l'anno. «Una cifra modesta», commenta nel suo grande studio all'ottavo piano del Guggenheim di up-town, con una parete di cristallo, un'altra bianca dove spiccano solo un quadro di Roy Lichtenstein e uno di Mondrian, una terza affollata di libri e la quarta tappezzata di enormi pannelli scorrevoli con i progetti in corso del Museo. Dal 26 giugno al 12 settembre la mitica spirale di Frank Lloyd Wright, prima sede del Museo di New York fin dal 1937 (la casa di Peggy a Venezia è diventata Museo solo nel 1979), ospiterà la mostra «L'arte della motocicletta», una carrellata storica, attraverso cento esemplari, da uno dei primi prototipi realizzato in Germania da Hildebrand & Wolfmuller nel 1894, alla Bmw R32 del 1923, alle varie Honda, Harley Davidson e Agusta fino alla Aprilia 6.5 disegnata da Philippe Starck, che rappresenta gli Anni Novanta. «Voghamo dare più attenzione al design», sottolinea Krens, preoccupato prima di tutto di fare sponsorizzare totalmente le sue mostre. La sede di Bilbao esiste grazie a un finanziamento di 150 milioni di dollari del governo basco (100 sono serviti per la costruzione del museo e 50 per l'acquisizione di opere d'arte). «A loro è servito a fare parlare del Paese per un motivo che non fosse il terrorismo», dice, mentre a lui sono piovute telefonate da, città di tutti e cinque i Continenti per proporre di aprire da loro un nuovo Guggenheim. Siamo tornati al mecenatismo dei Medici? «Giulio H e la Chiesa soprattutto sono stati i più grandi mecenati, che hanno contribuito allo svilup¬ po del mondo. Oggi i termini sono diversi, ma il concetto è lo stesso». Qual è la sua strategia per i prossimi anni? «Avere un museo di successo. E' una strategia a lungo termine perché bisogna fare in modo che le nostre cinque sedi siano centri di cultura internazionali, capaci di cambiare la fisionomia del panorama culturale». E il primo passaggio? «Ingrandire la sede di Soho, che adesso è so- lo su due piani, mentre voghamo acquisire tutto il palazzo e portare avanti il progetto della Dogana a Venezia realizzato da Vittorio Gregotti, per trasformarla nel più grande spazio espositivo di arte contemporanea in Italia. I lavori quando cominceranno? «Fra due anni, ma non mi stupirei se diventassero dieci». Come mai? «Perché in Italia c'è il problema di mettere d'accordo tutte le va- rie istituzioni. La Dogana, per esempio, è proprietà dello Stato, che dovrebbe trasferire gh uffici a Mestre. Noi abbiamo il supporto della città col sindaco Massimo Cacciari, del ministero dei Beni culturali con Walter Veltroni, degli Esteri con Boris Biancheri, vice del ministro. Sandro D'Urso si occupa di tutta la parte legale...» E lei cerca i fondi... «Vorrei fare un accordo al 50 per cento con la città, proprio sul modello della Fondazione Cini di Venezia, che ha una concessione per 50 anni rinnovabile e stabilisce il suo programma d'accordo con l'amministrazione comunale». Da quanto tempo si sta occupando di questo progetto? «Da dieci anni, da quando sono arrivato a dirigere il Guggenheim». Secondo lei oggi esistono ancora le avanguardie? «Certo. I nostri 27 curatori lavorano sui giovani artisti emergenti, che non nomino per non escluderne nessuno. Si capisce, oggi il concetto di avanguardia è differente, ma è motivata sempre da un momento di transizione estetica. Adesso il lavoro dei ragazzi è una sfida continua. Coinvolgono corpo, rappresentazioni, installazioni». Cosa pensa della video-arte? «E' importante. Fra gh artisti che abbiamo selezionato per la terza edizione del premio Hugo Boss a luglio, 4 su 6 sono video-artisti». Dilagano, quindi. «Non è facile fare previsioni, ma non li si può ignorare. Chi mantiene l'arte oggi è tutta gente tra i 50 e i 70 anni, cresciuta con la cultura della tela e del pennello. Mio figlio, a sei anni usa il computer, come tutti gh altri bambini. Se voghamo che i nostri musei domani siano affollati, dobbiamo guardare anche a questa nuova tecnica». Fiamma Arditi Qui accanto, lo stabilimento BMW nel 1923; sopra, una BMW 500 del 1937