Concilio, sotto la Cupola i vescovi in lotta

Concilio, sotto la Cupola i vescovi in lotta la memoria. Tutti i restroscena da Giovanni XXIII a Papa Montini Concilio, sotto la Cupola i vescovi in lotta L A dietrologia, che è una «scienza» malfamante per i giornalisti, si redime invece se proviene dalla penna degli storici. E' uscito il terzo volume della Storia del Concilio Vaticano II. Il Concilio adulto. Settembre 1963 - Settembre 1964, Società Editrice il Mulino, opera diretta da Giuseppe Alberigo, dell'Istituto per le scienze religiose di Bologna. E la «buona» dietrologia ne riempie le pagine e le note. Uno penserebbe che il «Concilio adulto», cioè ormai avviato con esperienza e saviezza, nella sua seconda fase, fosse lì a mostrare, oltre lo splendore della navata centrale della basilica di San Pietro colma di vescovi, soprattutto l'alacre e concorde fatica dei Padri conciliari nel produrre documenti per il fruttuoso cammino della Chiesa cattolica. E, invece, gli storici raccolti attorno ad Alberigo (Alberto Melloni, Joseph Famerée, Reiner Kaczynski, Claude Soetens, Evangelista Vilanova) scoprono tutto il lavorìo, le pressioni, le intromissioni, i giochetti, le rivalse, che prosperano al di fuori e dentro la basilica vaticana. Un sacrosanto Concilio che, nella perfetta tradizione di tutti i Concili della storia, si svolge tra sante intenzioni, beghe ecclesiastiche e puntigli teologici. Il tutto, nel nuovo volume, documentato da diari, taccuini, note personali di vescovi, di teologi e di osservatori. Interessante, per esempio, un'abbondante corrispondenza epistolare di Giuseppe Dossetti, che rivela le pressioni e i suggerimenti del teologo bolognese a Papa Montini su alcune tematiche e sulla conduzione delle assemblee conciliari. La «dietrologia» comincia anche prima dell'inizio della seconda fase del Concilio, lasciato in sospeso dalla morte di Giovanni XXIII. C'è il Conclave, da dove uscirà il nuovo Papa Paolo VI. Una nota, alle prime pagine, informa, da indiscrezioni diplomatiche, che il candidato pontefice non era gradito né al cancelliere tedesco Adenauer né al nostro presidente Segni, i quali avevano cercato di influenzare i cardinali affinché non eleggessero Montini, «pericoloso tanto per l'Occidente quanto per l'avvenire della cristianità». Montini, invece, viene eletto e riapre il Concilio, dando ad esso una direzione più organica. Papa Roncalli, uomo semplice e aperto, agiva con la sua stessa figura come stimolatore della maggioranza che era rinnovatrice. Paolo VI, l'intellettuale tormentato, si sentiva pressato tra la maggioranza e la minoranza, interveniva con emendamenti, in definitiva con com- promessi. Il Concilio cessava di procedere per ispirazioni e improvvisazioni, diventava «adulto», ma risentiva degli stessi tormenti di Montini, il Papa che non sorrideva. «Sorrida, Santità!», intitolò un giorno un settimanale torinese. «C'è ben poco da ridere!», esclamò lui quando glielo fecero vedere. In definitiva, il quadro del Concilio che si presenta è quello di una continua lotta di vescovi e teologi arroccati e timorosi in una visione tradizionale della Chiesa contro altri, la maggioranza, orientati verso cambiamenti e nuove impostazioni. Il Concilio deve trattare di temi alti, come la «collegialità» episcopale, cioè della posizione teologica dei vescovi nella Chiesa, anche in rapporto al Papa stesso; si deve sviluppare il rinnovamento della liturgia; si imposta l'ecumenismo, cioè i rapporti con le confessioni cristiane ortodosse e protestanti. E' impossibile, naturalmente, rendere conto qui di tutto il complesso e pesante dibattito di questa seconda sessione conciliare. Basti dire che tale dibattito si dipana spesso in sottili e importanti disquisizioni teologiche quasi di antico stampo bizantino (per esempio, sulla collegialità episcopale, se si debba dire «Petrus et apostoli» oppure «Petrus coeterique apostoli... ) ma poi si va a finire anche in alterchi pubblici tra cardinali: Frings, arcivescovo di Colonia, che attacca violentemente Ottaviani, il capo del Sant'Offizio, e questi che risponde altrettanto duro, con passione e lacrime agli occhi. Il tema dell'ecumenismo oltrepassa i confini confessionali cristiani e si immette anche nella questione del rapporto con gli ebrei o in quella della libertà religiosa. Il «Decretum de iudeìs», come viene chiamato, divide non solo i padri conciliari (c'è di mezzo l'accusa di «deicidio»), ma sull'assemblea si fanno pesanti le pressioni degli Stati arabi, anche attraverso i vescovi e i patriarchi orientali. In un mondo moderno, che non sopporta poteri temporali della Chiesa né esibizioni di pompa e ricchezze ecclesiastiche, era naturale che in Concilio si affacciasse la questione della povertà. «Chiesa dei poveri» fu il compromettente tema che venne offerto all'assemblea da alcuni vescovi del Terzo Mondo, ma anche dal cardinale Lercaro, arcivescovo di Bologna. Non si può dire che, all'infuori di alcune riunioni in margine e all'esterno dei lavori ufficiali, il tema abbia appassionato un'assemblea dove i patriarchi orientali esigevano «posti speciali» e dove predominavano i vescovi e i cardinali delle floride Chiese tedesche e mitteleuropee. Soltanto un anno dopo, alla chiusura del Concilio, apparirà una lettera di una cinquantina di vescovi, inviata al papa, e per conoscenza agli altri confratelli, contenente questi proponimenti: «Vivere nella semplicità in mezzo ai propri fedeli, rinunciare all'apparenza e alla realtà di ogni ricchezza e potenza, non accordare privilegi ai ricchi e ai potenti, prendersi cura dei poveri...». Investigare sul mantenimento di tali ottime risoluzioni conciliari potrebbe essere il compito della buona «dietrologia» dei prossimi volumi del gruppo degli storici bolognesi. Domenico Del Rio Fra sante intenzioni lacrime e beghe Segni eAdenauer ostacolarono l'elezione di Paolo VI, «pericoloso per l'Occidente e per l'avvenire della cristianità» Un'immagine del Concilio Vaticano II. Sopra, da sinistra, Giovanni XXIII e Paolo VI

Luoghi citati: Bologna, Colonia