Brescia ci riprova: processate Di Pietro

Brescia ci riprova: processate Di Pietro L'ex magistrato di Mani Pulite: «Finirà come tutte le altre volte in una bolla di sapone» Brescia ci riprova: processate Di Pietro Per concorso in corruzione con Pacini Battaglia MILANO. La procura di Brescia ci riprova: vuole che Antonio Di Pietro vada sotto processo con l'accusa di concorso in corruzione. La richiesta di rinvio a giudizio, che riguarda pure Chicchi Pacini Battaglia, Antonio D'Adamo e Giuseppe Lucibello, è stata presentata ieri al giudice per le indagini preliminari Anna Di Martino, che deciderà nei prossimi giorni. «Non è la prima, non sarà l'ultima. Finirà come tutte le altre volte in una bolla di sapone», fa il sarcastico il senatore dell'Ulivo, in giro per l'Emilia a caccia di firme per il referendum sul maggioritario. «E' aria fritta, acqua calda. Visto e rivisto, trito e ritrito», rincara la dose l'ex ministro. E conclude: «Certe cose devono fare riflettere. In Italia sarebbe meglio combattere il crimine, non chi l'ha combattuto». «Oramai è una roba da Guinness dei primati», assicura il suo difensore, Massimo Dinoia. E aggiunge: «Non sono un matematico (come direbbe Totò), ma mi sembra proprio che in questi ultimi tre «"ni sia stato richiesto il rinvio a giudizio per qualcosa come 18 capi d'imputazione. Solo la straordinaria forza d'animo di Di Pietro, e la certezza della propria innocenza, lo aiutano a sopportare le accuse, calunnie e diffamazioni, rivoltegli in questi anni». Che finisca come le altre volte - dall'informatizzazione ai 100 milioni di Gorrini, fino al concorso per il suo amico Eleuterio Rea - per l'avvocato Dinoia è più che scontato: «Non ho il minimo dubbio: essendo l'accusa totalmente infondata, anche in questo caso il giudice non potrà che decidere che il fatto non sussiste». Al centro di questa vicenda, le famose e discusse frasi intercettate dal Gico della Guardia di Finanza nel '96. Quelle in cui Chicchi Pacini diceva: «A me Di Pietro e Lucibello mi hanno sbanca¬ to...». Poi corretto in fase di interrogatorio in un più neutro «sbiancato». E ancora: «Per uscire da Mani pulite si è pagato...». Frasi che sono finite al centro di un'indagine durata quasi due anni. Due anni in cui Pacini non si è spostato di una virgola, negando sempre tutto, esattamente come Di Pietro e Lucibello. Due anni che invece hanno visto il voltafaccia di Antonio D'Ada¬ mo, passato da amico a grande. accusatore dell'ex magistrato, simbolo di Mani pulite. In svariati interrogatori Antonio D'Adamo ha ricostruito le sue frequentazioni con l'allora magistrato: i telefonini che gli cedeva, l'appartamento pied-aterre a Milano, il residence a Roma. Fino agli abiti firmati, le camicie di cui ancora aveva gli scontrini con la taglia, la Lancia Dedra. E quei soldi, in contanti, che spesso lasciava in una busta su un frigorifero, a disposizione di Di Pietro. Di più. In ore e ore di interrogatori davanti ai magistrati bresciani Silvio Bonfigli, Antonio Chiappani e Francesco Piantoni, l'imprenditore Antonio D'Adamo ha ricostruito quel giro di 12 e passa miliardi, usciti nel '93-'94 dalla Karfinco di Pacini e planati nelle aziende di D'Adamo. «Normali operazioni d'affari», si è sempre difeso il banchiere italo-svizzero. «No, sapeva che quei soldi sarebbero serviti a Di Pietro», replica D'Adamo, giurando che era implicito che quei finanziamenti arrivavano per quel rapporto d'amicizia che lo legava all'allora magistrato, impegnato nella bufera di Tangentopoli. Di quei 12 miliardi non c'è traccia nei conti di Di Pietro, passati ai raggi X dalla procura di Brescia. Convinta che sia bastata quella promessa di «ingentissime somme di danaro» per chiedere l'ennesimo rinvio a giudizio. Fabio PoSefti L'ex pm Antonio Di Pietro. La procura di Brescia ne ha chiesto il rinvio a giudizio per concorso in corruzione

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