Vittorini, la vocazione alla sconfìtta di Giorgio Calcagno

Vittorini, la vocazione alla sconfìtta la memoria. Tutti i segreti dello scrittore siciliano in una nuova biografia di Crovi, a lungo suo collaboratore Vittorini, la vocazione alla sconfìtta Una «vita contro», fra scelte sbagliate e delusioni L 13 dicembre 1924 il vicecapostazione di Siracusa, da poco affiliato alla massoneria, invitò a cena il capostazione titolare, massone come lui, insieme con la famiglia. Il padrone di casa non sapeva quali conseguenze avrebbe avuto quell'invito. Il vicecapostazione si chiamava Sebastiano Vittorini, il suo superiore Gaetano Quasimodo. Anche se amavano gli studi classici - Sebastiano Vittorini aveva perfino scritto e pubblicato un saggio su Eschilo - quei due bravi ferrovieri avevano imposto ai figli, contro la loro vocazione, l'Istituto tecnico. Il primogenito di Vittorini, gran contestatore di quella scuola, aveva già guadagnato una bocciatura perché invece di andare a lezione si nascondeva in biblioteca a leggere Schopenhauer e Cellini. Il secondogenito di Quasimodo, più disciplinato (e di 7 anni più anziano) era geometra in servizio: ma non prometteva molto di più se fin da studente aveva dato vita a una rivista dal pericoloso titolo La vampa letteraria. Il giovane Vittorini, in omaggio alla passione grecista del padre, si chiamava Elio. Il Quasimodo due celava, dietro 0 familiare Totò, un più impegnativo Salvatore. I due capistazione non potevano pensare che quei ragazzi avrebbero raggiunto il grado di Gran Maestro nelle patrie lettere; il secondo arrivando addirittura al Nobel. Un'altra cosa non pensavano, i due colleghi di loggia e di rotaie, unendo le famiglie nel giorno di santa Lucia. Che la figlia di Quasimodo, Rosa, diciannovenne, facesse innamorare di sé, ricambiandolo, il sedicenne Elio. E che tre anni dopo, sciagura delle sciagure, i due organizzassero insieme una «fuitina» per vincere le resistenze dei genitori. La fuga funzionò solo a metà, l'albergo che i due ragazzi avevano raggiunto in carrozza si rifiutò di ospitarli e gli innamorati passarono la notte sulle gradinate del teatro greco. Ma ormai le famiglie, bon gre mal gre, si rassegnarono all'idea del matrimonio: che naturalmente si sarebbe concluso, vari anni dopo, con un fallimento. Contro l'imposizione della scuola, contro le scelte della famiglia. E' tutta contro, la vita dello scrittore siracusano, come possiamo leggere nella corposa biografia di Raffaele Crovi, Il lungo viaggio di Vittorini, in uscita da Marsilio. Antifascista con tessera del pnf, comunista senza tessera del pei, Vittorini ha attraversato tutte le stagioni della nostra storia cercando sempre di incarnare i propri ideali nella parte sbagliata. Crovi, che ha collaborato a lungo con lui, ha accumulato una straordinaria messe di documenti per testimoniare questa insopprimibile vocazione alla sconfitta. Come tanti siciliani, Vittorini pensa solo a fuggire dalla sua terra: che, come pochi siciliani, non cesserà di amare. Si radica a Firenze, nella sua più felice stagione novecentesca, e passa il tempo a sognare Milano, per lui «la più bella città del mondo». L'uomo che sarà maestro di una letteratura rigorosa sceglie come primo modello Malaparte e il suo periodico La conquista dello Stato, organo del «fascismo integrale». Tanto che un giorno, a 18 anni, prende il treno, per andarlo a trovare a Roma. Lo scrittore di Prato va alla stazione credendo di incontrare un professore con la barba e ne vede scendere un ragazzo in calzoni corti. In Malaparte il giovane Vittorini vede l'immagine del fascismo antiborghese, rivoluzionario, al quale aderirà convinto, fino alla disillusione della guerra di Spagna. «Elio è sempre in orbace e di malumore», scriverà Eugenio Montale a Quasimodo il 1° maggio '35, quando nell'ex ammiratore di Malaparte affiorano i primi dubbi. Il malumore è anche dovuto alle precarie condizioni economiche, nelle quali Vittorini si trascinerà tutta la vita. Come ricorda Carlo Ro, non ha mai neppure avuto un conto in banca. Negli anni fiorentini deve chiedere aiuto agli amici, che spesso non sono più ricchi di lui. H più generoso è il genovese Montale, che gli procura un posto di correttore di bozze alla Nazione per 700 lire al mese e gli finanzia con mille lire un viaggio in Sardegna. Vittorini riuscirà a farsi licenziare dal giornale di cui detesta la linea - e a far crescere le mille lire con un diario di viaggio che gliene frutta tremila, vincendo un premio letterario: gli serviranno a estinguere qualche debito. Non meno dialettico il rapporto con il comunismo, abbracciato alla fine degli Anni 30, sostenuto nella Resistenza, interrotto polemica¬ mente nel dopoguerra. Vittorini si trova in prima fila quasi controvoglia, sotto l'occupazione nazista, costretto a prendere il posto di Eugenio Curiel, assassinato dai repubblichini; e fa esemplarmente il suo dovere, rischiando più volte la vita. Nell'Italia libera, non accetta i diktat di Togliatti, che pretenderebbe di fargli suonare il piffero per la rivoluzione, e se ne va. La vicenda di Politecnico, la rivista vittoriniana che voleva promuovere un rinnovamento culturale e venne silurata dal pei, è esemplare. Ma lo scrittore non diventerà, malgrado tutto, un anti- comunista. Quando Valentino Bompiani, nel febbraio 1948, lo invita a colazione insieme con Arthur Koestler, l'autore di Buio a mezzogiorno, Vittorini si schermisce. «E' meglio che non venga. Preferisco un buon Padre Davide a qualunque Koestler». Padre Davide è Turoldo, esponente di un cristianesimo verso il quale Vittorini dimostra sempre più interesse, pur mantenendo il suo credo laico. «Forse sono molto più cristiano di quanto oggi non capiti di essere - scrive nel dicembre 1954 a Leone Piccioni -. Sono poco credente, ma sempre più mi persuado che quello che mi aiuta in ogni circostanza sia semplicemente cristianesimo». Negli ultimi giorni, febbraio 1966, gli sarà accanto padre Camillo De Piaz, il compagno di Turoldo. «Prima di morire, Elio, con commossa cautela, chiese a De Piaz se voleva confessarlo: Camillo non cedette alla tentazione; si limitò a benedirlo», testimonia Crovi. Fu sepolto con un funerale civile. La seconda moglie Ginetta, da lui sposata tre giorni prima, volle ricollocare sul carro funebre la croce, che il fratello Ugo, comunista intransigente, aveva fatto togliere. Giorgio Calcagno Antifascista con la tessera del pnf comunista senza la tessera del pei ciliani, Vittorini pensa solo a fuggire dalla sua terra: che, come pochi siciliani, non cesserà di amare. Si radica a Firenze, nella sua più felice stagione novecentesca, e passa il tempo a sognare Milano, per lui «la più bella città del mondo». L'uomo che sarà maestro di una letteratura rigorosa sceglie come primo modello Malaparte e il suo periodico La conquista dello Stato, organo del «fascismo integrale». Tanto che un giorno, a 18 anni, prende il treno, per andarlo a trovare a Roma. Lo scrittore di Prato va alla stazione credendo di incontrare un professore con la barba e ne vede scendere un ragazzo in calzoni corti. chiedere aiuto agli amici, che spesso non sono più ricchi di lui. H più generoso è il genovese Montale, che gli procura un posto di correttore di bozze alla Nazione per 700 lire al mese e gli finanzia con mille lire un viaggio in Sardegna. Vittorini riuscirà a farsi licenziare dal giornale di cui detesta la linea - e a far crescere le mille lire con un diario di viaggio che gliene frutta tremila, vincendo un premio letterario: gli serviranno a estinguere qualche debito. Non meno dialettico il rapporto con il comunismo, abbracciato alla fine degli Anni 30, sostenuto nella Resistenza, interrotto polemica¬ comunista. Quando Valentino Bompiani, nel febbraio 1948, lo invita a colazione insieme con Arthur Koestler, l'autore di Buio a mezzogiorno, Vittorini si schermisce. «E' meglio che non venga. Preferisco un buon Padre Davide a qualunque Koestler». Padre Davide è Turoldo, esponente di un cristianesimo verso il quale Vittorini dimostra sempre più interesse, pur mantenendo il suo credo laico. «Forse sono molto più cristiano di quanto oggi non capiti di essere - scrive nel dicembre 1954 a Leone Piccioni -. Sono poco credente, ma sempre più mi persuado che quello che mi aiuta in ogni circostanza sia semplicemente cristianesimo». Negli ultimi giorni, febbraio 1966, gli sarà accanto padre Camillo De Piaz, il compagno di Turoldo. «Prima di morire, Elio, con commossa cautela, chiese a De Piaz se voleva confessarlo: Camillo non cedette alla tentazione; si limitò a benedirlo», testimonia Crovi. Fu sepolto con un funerale civile. La seconda moglie Ginetta, da lui sposata tre giorni prima, volle ricollocare sul carro funebre la croce, che il fratello Ugo, comunista intransigente, aveva fatto togliere. Giorgio Calcagno Salvatore Quasimodo: la sorella del premio Nobel, Rosa, sposò Elio Vittorini (nell'immagine grande) dopo la classica «fuitina»