Per Giscard un Euro in salsa franco-tedesca

Per Giscard un Euro in salsa franco-tedesca ANALISI «Coniugare il contenimento dell'inflazione caro a Bonn con la preoccupazione di Parigi per l'occupazione» Per Giscard un Euro in salsa franco-tedesca La ricettae'exPresientecontro'ansiaamoneta unica IL CREPUSCOLO DELLE VALUTE LA travagliata gestazione dell'Euro che, incubato il 2 maggio di quest'anno, sostituirà materialmente le monete nazionali nella metà del 2002, sta già provocando e diffondendo disparate reazioni contabili e psicologiche fra i Paesi europei interessati alla sua nascita. L'avvento dell'ancora ignoto messia monetario suscita aspettazioni ed emozioni estremamente variabili da un Paese all'altro. In Italia, in Belgio, in Spagna, in Portogallo predomina lo stato d'animo di chi ha ricevuto la grazia di una promozione inattesa, mentre in Grecia serpeggia la grande delusione di chi la grazia non l'ha ottenuta. Gli austriaci vedono nell'Euro una proiezione allargata del marco, un aggancio, sia pure indiretto, alla grande area germanica di cui si sentono consanguinei e storicamente partecipi. Gli inglesi per contro si sono autoesclusi, almeno per ora, dalla compagine continentale, intravedendo nella valuta unica una divinità malefica più che benefica; fedeli come sempre al principio del wait and see, restano affacciati sulla Manica, in attesa che l'Euro poco per volta emerga dalle ombre amniotiche e sveli la sua vera identità e le sue vere intenzioni nei confronti della sterlina. Intanto olandesi e scandinavi diffidano, tergiversano, cavillano; al contrario degli austriaci, essi non percepiscono nell'Euro un marco più ampio, ma, semmai, più debole e più vulnerabile. Scoraggiano i nordici soprattutto i deficit pubblici delle aree latine, deficit cronici secondo loro, che minaccerebbero d'inquinare fin da adesso il travaglio d'incubazione del nascituro messia valutario. Ma è in particolare nei due Paesi guida dell'integrazione europea, Francia e Germania, che incalza con più fervore la discussione sui prò e i contro della valuta unica, sulla sua validità finanziaria, la sua gestione bancaria, le sue implicazioni politiche e culturali a medio e lungo termine. Il dibattito in corso vi è multiplo e intrecciato. Da un lato coinvolge le forze politiche ed economiche dei due maggiori Paesi dell'Unione Europea, da un altro contrappone in maniera ora velata ora drastica i due medesimi Paesi fra loro. A questo si aggiunge, soprattutto in Francia, un rimescolamento trasversale delle poste in gioco, che spacca dall'interno le coalizioni politiche affini, che vede tanti gollisti di centrodestra, lepenisti d'estrema destra, comunisti di estrema sinistra, perfino liberali scettici, come il famoso monetarista Jean-Jacques Rosa, schierati fanaticamente quanto contraddittoriamente insieme contro l'Europa di Maastricht. Il tutto si svolge, sia a Parigi che a Bonn, su uno sfondo da fine d'epoca: l'impressione generale è che con la nascita dell'Euro deperiscano e finiscano, nello stesso frangente, la Quinta Repubblica presidenzialistica francese e il lunghissimo cancellierato democristiano tedesco. Il presidente Cliirac, cui la coabitazione coi socialisti di Jospin ha tolto ogni potere in politica interna, e il cancelliere Kohl, messo alle strette dall'avanzata dei socialdemocratici di Schroeder, annaspano sulle sponde del Reno come due anatre zoppe e perdipiù sordamente ostili fra loro. Il recente vertice franco-tedesco di Avignone è apparso come una fotocopia sbiadita dei ben più cordiali e corposi incontri fra De Gaulle e Adenauer, Giscard d'Estaing e Schmidt, Mitterrand e Kohl. E' ormai remotissimo il tempo in cui Adenauer diceva a De Gaulle: «Dovrà essere lei, Generale, il capo dell'Europa unita», con il Generale che rispondeva: «La Francia non ha più i mezzi per mettersi alla guida dell'Europa. Neppure voi tedeschi li avete. Ma, insieme, potremo farcela». Quello storico colloquio avveniva nel 1963. Poi ancora nel 1978, al vertice di Brema, Giscard e Schmidt gettavano le prime basi dell'Euro con la creazione dell'Ecu, suo progenitore in provetta e del Sistema monetario europeo. Oggi la sensazione diffusa è che questo nucleo forte e dinamico dell'Europa, l'egemone Europa carolingia, il motore dell'integrazione, si siano dissolti o quanto meno inceppati proprio a causa dell'imminente parto monetario che pur dovrebbe rappresentare il corollario economico e il mastice politico dell'iniziale progetto franco-tedesco. Le accuse che, in tale clima di crepuscolo carolingio, continuano a piovere su Kohl, sono schiaccianti e sembrano predirne la disfatta elettorale d'autunno che ormai tanti danno per certa. Almeno sette tedeschi su dieci, cioè i due terzi della nazione, gli rinfacciano di avere svenduto l'onnipotente marco ai francesi ottenendone in cambio l'assenso alla riunifìcazione e uno straccio di banconota ignota. Sull'altra riva del Reno, gran parte degli stessi gollisti, come l'ex ministro Pasqua, rimproverano invece Chirac di aver cambiato almeno tre volte opinione sull'Euro: una prima nettamen¬ te contraria durante la campagna elettorale per la presidenza, una seconda ambiguamente interlocutoria agli inizi della presidenza, una terza decisamente entusiasta e troppo vicina ai socialisti negli anni della presidenza matura. Le coalizioni e le lobbies trasversali anti-Euro prendono terreno, amalgamando in uno stesso calderone destre e sinistre, all'egida dello slogan demogogico che Le Pen ha sintetizzato meglio di tutti: «La moneta unica sarà un'oppressiva moneta d'occupazione». Lo dice non più un qualunque fascistoide emarginato, ma un tribuno spregiudicato e fortunato che, col suo pacchetto di voti che ormai supera il 15 per cento, sta costringendo le destre rispettabili di Giscard e Chirac a patteggiamenti e compromissioni equivoci nelle Regioni e nei Comuni. Un altro slogan sempre più popolare incalza: «Fare l'Europa senza disfare la Francia». La schizofrenia sembra così impazzare di qua e di là dal Reno. Da una parte vediamo i politici firmare i trattati dell'integrazione eu¬ ropea, i banchieri tedeschi arrendersi all'estinzione eutanasica della Bundesbank, i banchieri francesi aspirare alla direzione della nuova Banca centrale europea; dall'altra parte però assistiamo all'angoscia dell'opinione pubblica tedesca, incollata sempre al mito del marco, e all'i-, sterià di una certa opinione francese che dipinge l'Euro come un becchino inviato dai tedeschi, dopo il fallimento dell'asse carolingio, a seppellire la Francia in una bara d'oro falso. C'è addirittura chi dice che sarà il «modello renano», il capitalismo germanico, la Bundesbank mimetizzata nelle spoglie della Banca europea di Francoforte, a sotterrare con la Francia tutta l'Europa. Non la pensa così, per fortuna, Giscard d'Estaing, che incontro alla fine della breve visita parigina. L'ex Presidente francese, sempre cartesianamente limpido, non denuncia il tempo: ha la stessa figura snella, lo stesso volto bulinato e arguto, la stessa proprietà di linguaggio e di pensiero che aveva all'epoca in cui, col cancelliere Schmidt, fondò il cantiere monetario da cui doveva nascere l'Ecu e poi l'Euro. Mi dice convinto: «Malgrado tutti gli scettici - ce n'erano molti allora, le principali banche centrali contrarie, la più importante stampa finanziaria contraria - il progetto monetario, varato dal cancelliere Schmidt e da me a Brema, verrà portato a termine entro la gennaio 1999. E, quel che più importa, ne farà parte un gruppo non ristretto di Paesi che, tutt'insieme, rappresentano l'85 per cento della produzione dell'intera Unione Eu- Giscard precisa quindi ancora più convinto: «Una volta che l'Euro esisterà, nessuno più si capaciterà di come ci siano voluti vent'anni per crearlo. Quando francesi,, italiani, tedeschi, spagnoli e lè lóro imprese si saranno abituati: a contare nella stessa moneta, a.pagare con, la stessa moneta, a paragonare i prezzi con la stessa moneta, ebbene, a quel punto, l'idea di ritornare a una moneta fluttuante sembrerà una fantasia del passato. Ai critici dico che il problema non è di stabilire se bisognasse o no fare l'Euro. Bisognava farlo. Personalmente non m'interessa stabilire che cosa questa unione monetaria può o non può fare; m'interessa di più capire come gestiremo questo nuovo sistema per assicurare all'Europa il massimo profitto economico e sociale». Sul differente approccio all'Euro tra Germania e Francia, l'ex Presidente osserva e conclude: «Per i tedeschi, la cultura della stabilità, il contenimento dell'inflazione, restano prioritari. I francesi invece pensano che la moneta unica dovrebbe aiutarli a diminuire il tasso di disoccupazione e ad accelerare la crescita economica troppo lenta. La realtà sta a metà strada fra le due posizioni. Io credo che, col tempo, anche noi europei finiremo per adottare la stessa politica degli americani: cioè lotta contro l'inflazione tenendo contemporaneamente d'occhio il calendario dell'espansione economica e quello dell'occupazione». Infine, per quanto concerne l'Italia: «I francesi responsabili hanno sempre ribadito ai partner tedeschi: voghamo che nell'unione monetaria entrino tutti i Paesi fondatori. Tra questi, in primo luogo, l'Italia. Io stesso ho sempre espresso tale punto di vista e ho sempre pensato che la difesa della posizione italiana dovesse costituire una parte essenziale della politica europea della Francia». Luci ed ombre, dunque. L'ottimismo raziocinante di Giscard rischiara il quadro più pessimistico di altri suoi illustri connazionali. E' naturale che sia così. L'Euro non è soltanto una bella festa, un matrimonio multiplo; è anche un travaglio, irto di contrasti e di dubbi da vincere e da superare. Enzo Bettiza In Italia, Belgio Spagna e Portogallo predomina lo stato d'animo di chi ha ricevuto una grazia I nordici sono scoraggiati dai deficit pubblici delle aree latine ritenuti cronici te contraria durante la campagna elettorale per la presidenza, una seconda ambiguamente interlocutoria agli inizi della presidenza, una terza decisamente entusiasta e troppo vicina ai socialisti negli anni della presidenza matura. Le coalizioni e le lobbies trasversali anti-Euro prendono terreno, amalgamando in uno stesso calderone destre e sinistre, all'egida dello slogan demogogico che Le Pen ha sintetizzato meglio di tutti: «La moneta unica sarà un'oppressiva moneta d'occupazione». Lo dice non più un qualunque fascistoide emarginato, ma un tribuno spregiudicato e fortunato che, col suo pacchetto di voti che ormai supera il 15 per cento, sta costringendo le destre rispettabili di Giscard e Chirac a patteggiamenti e compromissioni equivoci nelle Regioni e nei Comuni. Un altro slogan sempre più popolare incalza: «Fare l'Europa senza disfare la Francia». La schizofrenia sembra così impazzare di qua e di là dal Reno. Da una parte vediamo i politici firmare i trattati dell'integrazione eu¬ ropea, i banchieri tedeschi arrendersi all'estinzione eutanasica della Bundesbank, i banchieri francesi aspirare alla direzione della nuova Banca centrale europea; dall'altra parte però assistiamo all'angoscia dell'opinione pubblica tedesca, incollata sempre al mito del marco, e all'i-, sterià di una certa opinione francese che dipinge l'Euro come un becchino inviato dai tedeschi, dopo il fallimento dell'asse carolingio, a seppellire la Francia in una bara d'oro falso. C'è addirittura chi dice che sarà il «modello renano», il capitalismo germanico, la Bundesbank mimetizzata nelle spoglie della Banca europea di Francoforte, a sotterrare con la Francia tutta l'Europa. Non la pensa così, per fortuna, Giscard d'Estaing, che incontro alla fine della breve visita parigina. L'ex Presidente francese, sempre cartesianamente limpido, non denuncia il tempo: ha la stessa figura snella, lo stesso volto bulinato e arguto, la stessa proprietà di linguaggio e di pensiero che aveva all'epoca in cui, col cancelliere Schmidt, fondò il cantiere monetario da cui doveva nascere l'Ecu e poi l'Euro. Mi dice convinto: «Malgrado tutti gli scettici - ce n'erano molti allora, le principali banche centrali contrarie, la più importante stampa finanziaria contraria - il progetto monetario, varato dal cancelliere Schmidt e da me a Brema, verrà portato a termine entro la gennaio 1999. E, quel che più importa, ne farà parte un gruppo non ristretto di Paesi che, tutt'insieme, rappresentano l'85 per cento della produzione dell'intera Unione Eu- Gipiù l'Eurcapaluti vdo fspagrannstessstessprezbenetornsembsatoma gnasva m'inquesnon capinuovl'EureconSul'Eurl'ex de: «la stl'inflfranmona dimzioneconrealtdue tempmo pdegll'infranerio dquelper franpre voghtariatori.l'Itaesprsemla pstitula pcia»LumisriscsticozionL'Eufestanchtrassup