Verona, crolla la roccaforte di fini di Cesare Martinetti

Verona, crolla la roccaforte di fini IL CASO Elezioni-batosta per An: amarezza e rimpianti nella città della seconda «svolta» Verona, crolla la roccaforte di fini In due anni ha perso il 9% IL NORD-EST CHE SI 118BELLA VERONA DAL NOSTRO INVIATO Si dice Verona e si pensa destra, ma in queste elezioni che hanno rilanciato il Polo, proprio a Verona Alleanza nazionale conta ferite che bruciano e incassa un risultato eh orta Fini al livello ÙjlTinsi: o,4 per cento, uno e mezzo in meno di quattro anni fa, ma 9 in meno del'96. Erano elezioni politiche, ma che c'entra? I voti sono voti e a conti fatti An ne ha persi un bel po' in questa città che Fini ha scelto come simbolo della sua svolta liberale. Ricordate i flash e gli spot di febbraio? Il palazzetto dello sport stracolmo, l'abbraccio avvelenato di Cossiga, lo show di Berlusconi che fa distribuire dalle hostess il libro nero del comunismo scavalcando a destra l'imbarazzato erede di Giorgio Almirante. Massi, Verona ha tradito Gianfranco Fini. Nella sede di An, in via don Steeb, troviamo facce lunghe, tradite al pari del presidente da quell'avventura scintillante del Palasport. Nel salone delle -iiuiioni ci sono centinaia di fotografie dell'«evento» che è costato ai suoi militanti due mesi di lavoro organizzativo e che ora ha lasciato come eredità soltanto un pugno di mosche elettorali. Ecco le foto con i delegati che ricevono il librone omaggio del leader di Forza Italia. Ricorda, Giorgetti? «Ricordo. Fini offeso a casa sua». E Berlusconi? «Un grandissimo comunicatore». Il Cavaliere ritorna come un incubo nel racconto dei militanti di An. C'è un'altra immagine, più recente, di qualche giorno fa, in chiusura di campagna elettorale. Ci raccontano che l'algido Fini è sbarcato in una piazza Bra non certo stracolma (a differenza del '96), è salito sul palco, ha parlato di Prodi, Euro e Bicamerale. Poi è risalito sulla macchina e se n'è andato. «Berlusconi, invece, è arrivato un'ora e mezzo prima del comizio, s'è chiuso con i suoi in una riunione, s'è fatto raccontare i problemi di Verona. Poi è salito sul palco, ha voluto accanto il sindaco, la signora Sironi, e i candidati. Ha parlato, ha scher¬ zato, ha fatto spettacolo scandendo come allo stadio "chi non salta comunista è". Ha detto a tutti: "Vi voglio bene", e alla fine se n'è andato». Altra storia. E' un fatto che Forza Italia porta a casa il 40 per cento di voti per il suo sindaco annebbiando l'immagine dell'alleato fino quasi a farla scomparire. Michela Sironi va al ballottaggio con Giuseppe Brugnoli, candidato dell'Ulivo, che però le cede un dieci per cento di vantaggio (ha ottenuto un 30 abbondante). La Lega non va più su del 15 per cento confinandosi dentro un recinto che non sembra espandibile e sarà costretta a votare la Sironi. Alberto Giorgetti, 30 anni, segretario veronese di An, 48 ore dopo la grande delusione, confessa che lunedì mattina si è sentito «distrutto». E allora? «Sono andato a guardare bene i risultati, non solo quelli veneti, dove peraltro Treviso è andata molto peggio di noi, e mi sono in qualche misura consolato: il fatto è che An è andata male più o meno dappertutto. Verona fa più notizia per il suo valore simbolico, ma a dire la verità abbiamo preso gli stessi voti di quattro anni fa. Quelli persi sono andati alla Fiamma tricolore di Rauti». Basta l'autoconsolazione? Non basta. E infatti Giorgetti prova ad indagare meglio e ci dice che «in questa vecchia città democristiana, effettivamente, non siamo ancora riusciti a farci riconoscere come interlocutori». Il potere vero della città, le operazioni bancarie dell'Unicredito con Cariverona, per esempio, sono passate come un missile sopra la testa dei giovanotti di Fini: «Su questi temi - ci dice Giorgetti non sono mai riuscito ad avere una chiacchierata franca con nessuno». Confessione di impotenza, ma anche sintomo di una trasformazione non metabolizzata, di una nuova natura politica e di partito non perfettamente risolta e tuttora bifronte. Si dice che An, pur da dentro la maggioranza, pur con tre assessori su dieci in giunta, abbia ceduto più spesso all'istinto di opposizione che non al nuovo ruolo di governo. Qui tuttora si vive nel mito, emotivamente comprensibile, ma fin troppo iconizzato, di Nicola Pasetto, giovane deputato e leader storico dei giovanotti missini, morto un anno fa in un incidente stradale. Pasetto era l'anima della destra di questa città. Uno che viveva in trincea, che per dieci anni ha dormito nelle sedi di partito temendo gli assalti. Un avanguardista che nel suo linguaggio politico metteva anche la rissa e lo scontro fisico, come - anch'essa mitizzata nella storia del Fronte - la scazzottata per strada con il figlio del comunista Giorgio Bragaja. Da deputato, fu sospeso per scontri maneschi alla Camera. Eppure intelligente, trascinatore, organizzatore. Leader di un segmento di generazione missina che se ne sente orfana e che ora amministra il partito con debiti di carisma. L'avvocato Roberto Bussinello, per esempio, difensore di Freda, naziskin e altra umanità di destra, di Pasetto era amico, con lui ha trascorso la sua giovinezza politica e ora ha lasciato il partito per la «svolta liberale» di Fini. Se Pasetto fosse ancora vivo, sarebbe ancora lì, invece è emigrato in Fiamma e ci dice che il vero insuccesso elettorale di An è stato quello di «non aver affermato una propria identità rispetto a Forza Italia». E così An ottiene il suo miglior risultato nel quartiere chic di Borgotrento, mentre nella sua tradizionale roccaforte popolare, Borgoroma, alle case Agec, arriva solo al 7 per cento. Un fondatore dell'msi veronese come il medico Fabio Saccomani, combattente della Repubblica sociale, pur avendo aderito con convinzione ad An, dice che «quella conferenza di febbraio era indigeribile per chi veniva dall'msi» ed «ha lasciato l'amaro in bocca a molta gente che non ha più votato e che forse non prenderemo più». Brugnoli, che è stato direttore de L'Arena e conosce l'anima della città, dice che Fini ha perso quand'è venuto a «riconoscere i valori antifascisti. Ha infastidito i suoi, non ha guadagnato nulla e la protesta s'è trasferita nel pulviscolo, delle liste civiche». Di destra, conservatrice, tardodemocristisna, Verona galleggia ora verso un ballottaggio che non riscalda i cuori e non innesca la politica. Tradito Fini e tenuto a distanza Bossi., si può sopra wi vere anche con un sindaco con la faccia tranquilla della signora Sironi. Cesare Martinetti pso gli stessi voti di quattro anni A sinistra Gianfranco Fini, qui accanto il sindaco uscente (in testa al ballottaggio) Michela Sironi

Luoghi citati: Treviso, Verona