«Papà, non farti fregare» di Giovanni Bianconi

«Papà, non farti fregare» RETROSCENA TELEFONATE SCOTTANTI «Papà, non farti fregare» I dialoghi tra il boss in fuga e il figlio IROMA L boss era ufficialmente latitante da quattro giorni, e i carabinieri del Ros ormai avevano capito: quel signore che parlava con uno strano accento e la voce che tradiva l'età avanzata era proprio lui, Pasquale Cuntrera. Di tanto in tanto compariva nelle intercettazioni telefoniche in corso tra Canada e Spagna per il traffico di droga, ma fino al 12 maggio loro sapevano che il mafioso di Siculiana stava in carcere, e non immaginavano certo di inciampare nella sua voce. Poi arrivò la notizia della fuga, e sabato 16 maggio quella voce tornò a parlare con imo degli indagati controllati in Spagna. L'investigatore del Ros accese il registratore. Indagato: «Pronto?». Cuntrera: «Uhi». I.: «Come andiamo?». C: «Tutto bene». I.: «Novità?». C: «No, è tutto come prima». I.: «Mmmhh...». C: «No, no, okay, è tutto vecchio» I.: «Come hai viaggiato?». C: «Okay, okay». I.: «Voi state passiando (passeggiando, ndr)?». C: «Sì, sto passiando». I.: «Okay, a domani». C: «A domani». Passeggiava, anzi passiava, il boss mafioso che cercava di godersi un po' di libertà in Spagna in attesa di un passaporto per andarsene in America, forse in Venezuela, ma quasi certamente in Canada. Non tanto per piacere quanto per necessità, per via di quella malattia alle gambe che non gli dava pace, anche se poteva fare a meno della sedia a rotelle. Passeggiava tra i palazzi e le ville di Torre Molinos, e ogni tanto telefonava, fornendo elementi utili agh investigatori che cercavano di localizzarlo. Del resto Pasquale Cuntrera aveva cominciato a usare il telefono appena scarcerato, il pomerigio del 6 maggio, e il lavoro a ritroso fatto dai tecnici della polizia ha permesso di ricostruire tutte le sue mosse. Quando le intercettazioni fatte dal Ros del generale Mario Mori sono state incrociate coi dati raccolti dallo Sco della polizia, guidato dal questore Alessandro Pansa, ecco la scoperta che la voce del boss era incisa da tempo sui nastri dei carabinieri. Alle 15,04 del 6 maggio, appena scarcerato, da una cabina pubblica vicina al penitenziario di Panna, Cuntrera chiama prima un taxi e poi suo figlio Giuseppe, in Canada. Parlano dei problemi di salute del padre, e poi Giuseppe si raccomanda con il boss: «Stai attento, vedi di non farti fregare». Evidentemente padre e figlio hanno vivo il ricordo di ciò che accadde a febbraio ai due fratelli del boss, liberati come lui per scadenza dei termini di carcerazione preventiva ma riarrestati in ventiquattr'ore. Non sanno che in Italia la scarcerazione di Pasquale Cuntrera è caduta in un limbo di burocrazia e disguidi che gli lascerà campo libero per cinque giorni. Il 7 maggio Giuseppe, dal Canada, parla con la madre, la signora Giuseppa Velia, e i due ripetono più o meno le stesse cose, concentrati sulla salute di «don» Pasquale. Si danno appuntamento per l'indomani, e l'8 maggio ecco la nuova telefonata tra Giuseppe e Pasquale Cuntrera. Il figlio chiede come mai non sia suc¬ cesso niente dopo la scarcerazione; lui appare contento, mentre a «don» Pasquale e signora quella strana indifferenza non piace. Sono preoccupati, e il boss è infastidito anche dalla sua salute: «Mi fanno male le gambe», ripete più volte al figlio, e spiega: «Sto cercando di fare un po' di ginnastica». Dall' analisi dei tabulati telefonici risulta che Pasquale Cuntrera è rimasto in Italia fino all' 11 o al 12 maggio. Da quando ha lasciato il carcere, infatti, il boss o chi l'accompagnava aveva un telefono cellulare che la sera del 6 maggio è arrivato da Parma a Ostia. Da quel momento ci sono tracce di una serie di chiamate in entrata e in uscita con alcuni telefoni pubblici di Torre Molinos e un cellulare spagnolo. E' lo stesso, si scoprirà più tardi, intercet- tato dai carabinieri nell'indagine sul narcotraffico. Lo studio dei numeri chiamati da quel cellulare, inoltre, rivela che da lì vengono contattati gli stessi telefoni chiamati da Cuntrera da Parma. Dal 12 maggio, il telefonino italiano del boss diventa muto. E' un indizio sulla data della partenza per la Spagna, ma altri ne arrivano dalle intercettazioni dei carabinieri sugli indagati per il traffico di droga, collegati alla più vasta «famiglia» Cuntrera. Sono persone che si muovono a Fuengirola, vicino a Torre Molinos, che tra il 10 e il 12 maggio parlano nelle loro telefonate di un appartamento da affittare in residence per una coppia in arrivo. Parlano del complesso «Las Camelias», un enorme agglomerato con palme e piscine che si rivelerà difficile da sorvegliare perché contiene circa mille appartamenti, con quindici ingressi; dicono che bisogna affittare una casa per meno di due mesi, fino a fine giugno; spiegano che bisognerà pagare tutto in contanti, senza lasciare tracce di movimenti contabili. In un paio di frasi, escono alcuni scampoli di organizzazione della latitanza spagnola. «Hai trovato le lenzuola matrimoniale?», chiede uno; e un altro si informa: «Ti sei procurato la caffettiera?». Con la telefonata del 16 maggio arriva la certezza che il boss si nasconde su quel tratto di costa spagnola. Quando i funzionari dello Sco e della Criminalpol giungono a Torre Molinos incontrano i carabinieri del Ros che già sono sul posto, e scatta il coordinamento che ha portato alla cattura del mafioso di Siculiana. Adesso, sulla base delle intercettazioni e di altre indagini, si passerà a individuare e sgominare tutta la rete di complicità e protezioni che ha fatto vivere a Pasquale Cuntrera le sue due settimane e mezzo di libertà. Giovanni Bianconi Appena scarcerato la prima telefonata all'erede in Canada: «Va tutto bene» «Sono contento, ma ho dolori alle gambe Sto cercando di fare un po' di ginnastica»