Milano, un necrologio contro il Pool

Milano, un necrologio contro il Pool IL CASO VELENI SULLA GIUSTIZIA Accuse dopo la morte per cancro di Giuseppe D'Amato: vittima di accanimento giudiziario Milano, un necrologio contro il Pool Colombo querela. Bonelli: speculazioni di cattivo gusto MILANO I L necrologio, pubblicato ieri H sulle pagine del Corriere, è tagliente come una rasoiata vibrata al pool di Mani pulite. E il dolore per la scomparsa di un avvocato, Giuseppe D'Amato, deceduto domenica a mezzogiorno per un tumore al fegato, inquisito in una vicenda di tangenti con l'accusa di corruzione, diventa subito feroce polemica. «Ho visto il tormento e lo sfacelo che nascono dall'ingiustizia. Jacopo Pensa piange la scomparsa dell'avvocato Giuseppe D'Amato, ennesima vittima di cieco accanimento giudiziario...», fa pubblicare sulle pagine dei necrologi il suo difensore. Mentre un altro avvocato, a sua volta incappato nelle maglie di Mani pulite, Libero Riccardelli, rincara la dose: I «... Peppino D'Amato, vittima della feroce arroganza di un magistrato del pubblico ministero». Polemica nella quale però i famigliari del legale defunto non vogliono entrare: «Vogliamo solo che Peppino riposi in pace - dice il nipote Emilio Santomauro, consigliere comunale di An il procedimento penale lo aveva vissuto come un dramma. Ma non voghamo fare polemiche, basta leggere il necrologio pubblicato dalla famiglia. Di quello che hanno scritto Pensa e Riccardelli si assumono loro la responsabilità». Il magistrato chiamato in causa è Gherardo Colombo, che ieri mattina, appresa la notizia e letto il servizio che lo stesso quotidiano ha dedicato al necrologio, ha dato mandato al suo avvocato di sporgere querela. «E' una storia assurda. E' pazzesco pensare a un nesso di causalità tra la morte di una persona e il comportamento assolutamente doveroso del dottor Colombo, che ha sostenuto la tesi della Procura della Repubblica, la quale ha ottenuto riconoscimenti e smentite», dice il legale del pm, l'avvocato Francesco Borasi. Ma secondo il difensore di D'Amato, l'avvocato Jacopo Pensa, il nesso di causalità in questa vicenda fu evidente fin dalle prime battute del processo che vide il suo cliente imputato di corruzione: «L'inizio del processo coincise con la malat¬ tia. Poi comincò ad entrare e uscire dagli ospedali». La posizione di D'Amato venne perciò stralciata. L'accusa che lo riguardava era nata da un versamento di 100 milioni che lo stesso avvocato aveva ammesso di aver consegnato all'ex presidente dell'Ipab Matteo Carriera (già condannato nelle prime inchieste di Mani pulite) su incarico dei propri assistiti, un'azienda agricola che, in cambio della concessione di un terreno, aveva dovuto sottostare alle richieste dell'allora responsabile socialista dell'istituto. D'Amato era finito sotto inchiesta per corruzione. H gip, all'epoca Italo Guitti, al termine della prima udienza preliminare respinse l'impostazione della Procura e restituì il fascicolo affinché la posizione del legale passasse da quella di corruttore a con¬ cusso. Alla successiva udienza, davanti a un altro gip (Guitti nel frattempo era stato eletto al Csm), il pm però ripresentò la stessa accusa, che stavolta venne accolta con il conseguente rinvio a giudizio di D'Amato per corruzione. Secondo gli avvocati, da quel momento D'Amato iniziò ad ammalarsi. «Mi sembrano speculazioni senza fondamento e di cattivo gusto», ha commentato ieri il procuratore Saverio Borrelh. «Mi preme però ricordare che l'avvocato D'Amato era un'ottima persona, con la quale avevo buoni rapporti. E' vero, o almeno si dice, che un tumore ha anche una componente psicologica. Ma da questo ad attribuire a un magistrato un fatto così grave mi pare, ripeto, senza fondamento e di cattivo gusto». [p. col.] Gherardo Colombo

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