Le scelte pavide della giuria hanno snobbato i più audaci di Lietta Tornabuoni
Le scelte pavide della giuria hanno snobbato i più audaci Riconoscimenti inventati all'ultimo minuto e dati a pioggia Le scelte pavide della giuria hanno snobbato i più audaci PALMA d'oro bellissima: «L'eternità e un giorno» non sarà magari l'opera cruciale di Theo Angelopoulos, il premio rappresenterà magari anche un risarcimento d'ingiustizie passate, ma dal momento in cui il film è stato proiettato s'è potuta misurare subito la grandezza, la maestria cinematografica meravigliosa del regista greco, l'altezza che lo pone a un livello incomparabile. Per Roberto Benigni e «La vita è bella» il secondo premio non è affatto una delusione, ma il riconoscimento internazionale d'un progetto particolare, d'un mutamento rilevante del comico più amato e dell'impegno con cui l'ha affrontato; non si può dispiacersi troppo se non ha avuto premi «Aprile» di Nanni Moretti, un film personale, famigliare, interlocuto¬ rio, certo non concepito per le ricompense d'oro, i tappeti rossi, i baci delle star e le cerimonie con squilli di tromba, mentre il premio a Vittorio Storaro è una conferma del prestigio nel mondo dei tecnici-artisti italiani. Però, che pioggia: tra premi inventati all'ultimo minuto, ex-aequo e compagnia, su ventidue film in concorso ne sono stati premiati dieci, quattro dei quali di registi giovani. Giusto. La competizione tra film diversissimi non ha alcun senso culturale, e se i premi valgono quel che valgono darli a quasi tutti equivale a non darli. Ma il verdetto così equilibrato della giuria presieduta da Martin Scorsese è anche pavido. Lascia fuori le opere più sperimentali, di ricerca e fuori del comune, i film audaci, trasgressivi e fuori misura che nei festival dovrebbero trovare la loro patria naturale e che più hanno segnato e fatto discutere questo festival: l'elogio dell'idiozia di Lars von Trier, vincitore della Palma d'oro l'anno scorso; gli universi di diverse solitudini dei perfetti film cinesi, «Il buco» di Tsa Ming-Liang, «Flowers of Shanghai» di Hou Hsiao-Hsien; l'incubo staliniano nella Russia perenne di Alexei Guerman; !e allucinazioni sfrenate e vitali degli Anni Settanta della droga raccontate da Terry Gilliam; lo sforzo d'esistere d'una cerebrolesa in «Dance Me to My Song» di Rolf de Heer. I film più innovativi e arditi, più anticonformisti per forma e contenuto, nessuno li ha premiati: e non sarà un caso. Lietta Tornabuoni
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