«Imprese sì, ma alla pari»
«Imprese sì, ma alla pari» CE' L'EUROPA TRA CAMPI E INDUSTRIA Bedoni: la concertazione va bene, però non bisogna dormirci sopra «Imprese sì, ma alla pari» La Coldiretti propone contratti d'area ROMA DAL NOSTRO INVIATO Il settore agricolo è sotto pressione, le scadenze di «Agenda 2000», i più serrati impegni con il mercato globale, l'allargamento dell'Unione Europea mettono di fronte a nuove necessità. Questo senza contare i fuochi già accesi con la revisione di molti capitoli delle organizzazioni comuni di mercato, le vicende del latte e i rapporti con le industrie di trasformazione, che chiedono di serrare le maglie della filiera agroalimentare. Il governo ha dato una risposta con l'apertura del tavolo verde che getta le basi per una concertazione prima trascurata. E le organizzazioni agricole stanno aggiustando la rotta su queste nuove coordinate, ma il cammino va sgombrato dagli equivoci: «Concertazione non è una scorciatoia dell'ex collateralismo - dice Paolo Bedoni, presidente della Coldiretti - non ci siamo mossi sulla base di proposte precise, che sottintendono un'assunzione di responsabilità. Ecco, è la misura di attendibilità di una proposta che viene dalla concertazione, prima interna, poi allargata alle altre organizzazioni, dal consenso sul territorio, dalla coscienza che proporre non è esprimere un desiderio, ma una necessità condivisa. E la risposta non è solo per gli addetti ai lavori, ma per tutta la società». In poche parole, qual è il vantaggio maggiore della concertazione? «Direi la potenziale rapidità, il metodo comporta un confronto serrato e se una parte, l'agricoltura in questo caso, ottiene dei risultati il governo avrà il beneficio di vedere la sua azione garantita da chi è seduto a trattare dall'altra parte del tavolo». Sembra un avvertimento. «Mettiamola come vuole, certo è che il governo non può scherzare, sto parlando di accordi che la gente deve toccare con mano». Ecco, ma «la gente» non si aspetta che gli agricoltori sviluppino una maggior mentalità imprenditoriale e puntino meno su finanziamenti ed aiuti? «Guardi che in agricoltura le imprese non bisogna inventarle, esistono già, vanno solo indirizzate. Gli obiettivi fissati al tavolo verde sono importanti, però bisogna ancora realizzarli e, se la concertazione vuol dire arrivare sui problemi in tempo reale, non ci si può addormentare sopra». Allora c'è qualcosa che non va? «Quel che voglio dire è che siamo di fronte ad un capitolo nuovo per tutta una fase d'impresa e non solo. Qui si parla di agricoltura, agroalimentare, credito, ma anche di territorio. Insomma, si esce dai vecchi schemi chiusi: proiettarsi sul mercato vuol dire diversificare la politica d'impresa». Indichi la via. «La prima è riuscire ad utilizzare per intero i fondi dell'Unione Europea, basterebbe questo a cogliere enormi opportunità. Se non si è fatto prima forse vuol dire che non ci si è creduto, organizzazioni di settore e governi». E adesso ci si crede? «Basta credere veramente nel "sistema Paese". Non contraddiciamoci in casa». I nodi da sciogliere? «Bè, cominciamo col credito: le banche devono capire che quando noi ne parliamo vogliamo parlare di investimenti che possano veramente sviluppare lavoro ed imprese. Il credito fon¬ damentale non è quello di esercizio, ma quello strutturato nel medio-lungo termine, il credito di investimento». Poi? «L'associazionismo, che deve garantire le imprese a tutti gli effetti, non quelle che sono una palla al piede». Un concetto generale... «Quello della pari dignità dell'impresa agricola, che vuole infrastrutture e servizi. Comprendendo che non esiste solo chi rappresenta gli operai e chi gli imprenditori, ma anche chi, come noi, rappresenta tutti e due insieme». Parlando di sistema, gli accordi interprofessionali so no all'altezza della situazio ne? «Sono intese che hanno valore nella misura in cui le parti capi scono la necessità di essere interdipendenti. Bisogna ragionare per sinergie distrettuali e ac cordi interprofessionali di area, valorizzare le zone dove si produce, impegnandosi con nuove logiche, non certo solo di soste gno, anzi...». Anzi? «Oggi il governo non può spaventarsi se le aziende minacciano di trasferire le loro attività all'estero. Anche perché dobbiamo rispondere al resto d'Europa degli impegni che abbiamo preso». Vanni Cornerò
Persone citate: Bedoni, Paolo Bedoni, Vanni Cornerò
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