Rima jr, battesimo di fuoco

Rima jr, battesimo di fuoco Rima jr, battesimo di fuoco Brusca: lo zio Leoluca Bagarella lo chiamò per una esecuzione PALERMO DAL NOSTRO CORRISPONDENTE La «prima volta» di Giovanni Riina, 22 anni, il maggiore dei quattro figli dell'ex boss dei boss Totò, è stata rivelata dal quasi pentito Giovanni Brusca. Ancora considerato «dichiar nte» e non a tutti gli effetti un collaboratore della giustizia, pertanto non ammesso ai benefici concessi dallo Stato, Brusca ha reso dichiarazioni torrenziali sull'esecuzione della sentenza di morte dell'agronomo Antonio Di Caro, figlio di un anziano boss di Canicattì nel giugno di tre anni fa. Giovanni Brusca è stato esphcito: «Giovanni Riina venne apposta per l'esecuzione dell'omicidio in quanto lo zio gli voleva insegnare il mestiere». Il giudice per le indagini pre- liminari Alfredo Montalto, su richiesta dei pm Vittorio Teresi e Alfonso Sabella, della direzione distrettuale antimafia palermitana diretta da Gian Carlo Caselli, ha rinviato a giudizio il rampollo di Riina, suo zio Leoluca Bagarella, Vito Vitale, Giuseppe Lo Bianco e Francesco Di Piazza. I cinque avrebbero torturato, strangolato e infine sciolto nell'acido muriatico Di Caro, la cui morte era stata decisa perché avrebbe «cantato» con la polizia, agevolando la cattura del latitante Salvatore Fregapane avvenuta il 25 maggio 1995 a Casteltermini (Agrigento). Uno degli episodi, a detta di alcuni pentiti, che avevano reso incandescente la lotta tra Cosa nostra e gli esponenti della «stidda» canicattinese, l'organizzazione che in quel periodo insidiava la supremazia delle «famiglie» tradizionali della mafia collegate al clan dei corleonesi. La partecipazione di Giovanni Riina fu voluta dallo zio Bagarella, stando a quel che ha raccontato Brusca e che avrebbe trovato conferma nelle dichiarazioni dei pentiti Giuseppe Monticciolo, Vincenzo Chiodo ed Enzo Brusca, fratello minore di Giovanni. Questi ultimi tre sono gli stessi che, prima ancora della confessione resa da Giovanni Brusca, due anni fa consentirono agli inquirenti antimafia di far piena luce sul sequestro e lo strangolamento di Giuseppe Di Matteo, 12 anni, il cui corpo fu pure sciolto nell'acido. Una tremenda punizione per il padre, il pentito Santino Di Matteo, che non aveva voluto ritrattare le sue denunce sulla strage di Capaci. Anche questi tre pentiti hanno confermato che Bagarella volle il nipote (figlio di sua sorella Antonietta, moglie di Riina) accanto a sé quel giorno in modo che potesse «farsi le ossa», insomma fare esperienza per sapere come comportarsi in futuro. Un particolare agghiacciante è stato riferito da Enzo Brusca: «Monticciolo mi ha raccontato che Di Caro mentre stava per essere strangolato da Bagarella, invece di preoccuparsi per la propria sorte temeva che si rompessero gli occhiali che portava». Giovanni Riina è già da due anni in carcere con l'accusa di associazione mafiosa. [a. r.)

Luoghi citati: Agrigento, Canicattì, Capaci, Casteltermini, Palermo