«L'Ulster ha deposto i fucili» di Fabio Galvano

«L'Ulster ha deposto i fucili» «Ma la strada resta lunga». Clinton: un esempio per il mondo. Paisley: tra noi ha vinto il no «L'Ulster ha deposto i fucili» Blair esulta, alla pace il 71% di sì BELFAST DAL NOSTRO INVIATO Si discuterà per settimane e forse per mesi sul vero valore del referendum irlandese, in particolare sul suo significato a Nord del confine per una comunità protestante che si è dilaniata; ma è stato in un clima di tripudio popolare - appena temperato dalla delusione degli unionisti del «no» - che Nord Irlanda e Repubblica Irlandese hanno accolto ieri il risultato del loro primo voto comune da 80 anni. Ha vinto il sì, con un convincente 71,12% dei voti al Nord e con uno straripante 94,4% al Sud: il sì per la nuova Irlanda alla ricerca di una pace comune, di un futuro migliore, insomma di una svolta storica dopo trent'anni di sangue. Eppure non c'è trionfalismo - semmai speranza - nelle reazioni del partito del sì. Perché questo sarà anche un passo decisivo, ma è soltanto il primo in un lungo e difficile cammino, come dimostra anche l'arresto a Dundalk - ieri - di due uomini trovati in possesso di materiale per fabbricare bombe. Il commento a caldo di Tony Blair ai risultati del voto, dalla sua residenza di campagna dei Chequers, è stato: «Gli irlandesi hanno detto che non c'è posto per il fucile, le bombe, la violenza nella politica in Irlanda. Ma la strada resta lunga». E Bill Clinton, molto soddisfatto, ha commentato: «E' un esempio per tutte le persone dei luoghi del globo dove prevale il conflitto e la pace sembra remota». Quando i risultati del referendum in Ulster sono stati resi noti, pochi minuti dopo le 15 nella King's Hall di Belfast, sotto l'occhio di decine di telecamere e centinaia di giornalisti tenuti con una recinzione a distanza dagli scrutatori, sì sono levate grida di giubilo e un coro quasi calcistico («Here We Go»). Con quel risultato, a puntuale conferma degli exit poli forniti durante la notte dalla televisione di Dublino, si sono chiuse sei settimane di passione - dal Venerdì Santo quando fu varato l'accordo di Stormont al «buon venerdì» di questo storico voto - e altre cinque si aprono: nella rincorsa al voto del 25 giugno, quando gli abitanti del Nord Irlanda torneranno alle urne per scegliere i 108 deputati della loro nuova Assemblea e avviare concretamente la trasformazione della loro provincia. Perché dopo l'Assem blea verrà il suo esecutivo, in cui per la prima volta il leader unionista David Trimble siederà in un organo di governo al fianco del cattolico moderato John Hume - il grande ar chitetto di questa «pax gaelica», l'uomo che sogna di «avviare il primo secolo di una storia d'Irlanda senza uccisioni e di abbattere barriere secolari nel rispetto delle nostre diversità» - e addirittura di Gerry Adams, presidente di un Sinn Féin storico anatema per gli unionisti. Nel momento del trionfo in un'avventura che lo ha visto improbabile alleato di Trimble, Adams ha chiesto da una parte un'intesa elettorale con i cattolici moderati di Hume per «massimalizzare i reciproci vantaggi», dall'altra un dialogo diretto con gli unionisti «per dimostrare che insieme possiamo governare». Cose, insomma, non da Irlan¬ da di ieri, ma semmai da Irlanda del futuro, in quello che Adams ha definito «un salto di fede». Toccherà poi alle strutture panirlandesi che per la prima volta dopo 80 armi legheranno Belfast e Dublino; mentre nella Repubblica, sulla spinta dell'entusiasmo popolare e sebbene l'affluenza sia stata soltanto del 55% contro l'81% al Nord, saranno modificati gli articoli della Costituzione che tuttora rivendicano il Nord Irlanda come parte indissolubile di un'Irlanda unita. Ma non tutto è limpido come sembra; perché i protestanti dell'Ulster non sono uniti con il loro leader David Trimble (ma ieri sera il «ribelle» Geoffrey Donaldson ha indicato la sua volontà di tornare all'ovile). Il 28,88% dei no indica una divisione più o meno a metà, anche se la decisione di fornire un risultato complessivo del voto e non per circoscrizioni impedisce di stabilire chi abbia votato per il sì e chi per il no (soltanto gli exit poli azzardano il 99% di sì fra i cattolici e il 50% fra i protestanti). «Noi volevamo la maggioranza degli unionisti - ha proclamato l'irriducibile campione del no, il reverendo Ian Paisley - e ci siamo riusciti prendendo il 56%. Quelli del sì hanno speso miliardi per comperare gli elettori, ma inutilmente». Era uno dei pochi, ieri, convinti che 28% significhi successo «Sono una minoranza, non hanno un mandato», ha detto Trimble. «Un buon risultato per tutti coloro che, credendo nel sì, credono nella democrazia», gli ha fatto eco Mo Mowlam, ministro di Blair per il Nordirlanda, inarrestabile motore dei negoziati: «Ci muoviamo ora verso elezioni sulla base del principio del consenso. L'acT Jo è da prendere nel suo insiem> ,dnza sceglierne parti e respingerne altre». Ma ha anche sbertucciato chi, fra gli unionisti, chiede un replay: «Nossignori, non quando il risultato è 3 a 1». Fabio Galvano Il 25 giugno di nuovo alle urne per eleggere l'Assemblea. Arrestati due uomini, avevano bombe per un attentato Militanti dell'«Alliance party» festeggiano i risultati del referendum nella loro sede di Belfast [foto ansa]