RACCONTI DI FIUMI E DI PAGAIE

RACCONTI DI FIUMI E DI PAGAIE RACCONTI DI FIUMI E DI PAGAIE LSE rapide non si vedono, si fanno». E' questo il primo comandamento del canoista. Vuol dire: inutile stare a pensarci, bisogna andarci dentro, «sentirle» con il corpo. Pagaiare, pagaiare, urlano gli istruttori, mai subire la corrente maligna del fiume. «Ogni decisione debole è quasi sempre fatale»: anche nella vita. Così a memoria, era dai tempi del vecchio Hemingway che non mi accadeva di sentire in un libro tanto ossigeno, una natura così vera (e così elusiva) da stordire. La Valsesia è il paradiso dei canoisti, qualcosa che assomiglia alla felicità: puoi metterli alla prova godendo angoli di montagna intatti dal giorno della Creazione, perfezionare il tuo stile (è una scrittura anche quella), gridare di gioia o di paura, lavarti di dosso mali e bizzarrie, delusioni e dissapori. E soprattutto sapere chi sei. Il bello è che a raccontare i fiumi alpini con una intensità struggente è un napoletano, anche se trapiantato a Milano da più di dieci anni. Antonio Franchini, oggi quarantenne, ha scritto tre racconti di sport, «Acqua, sudore, ghiaccio» (Marsilio editore) che non esito a definire bellissimi, e che bastano da sob a metterlo tra i pochi narratori «necessari». Sentite: «Questa è l'incarnazione dell'eden per me che, quando scoprivo una forra, un fossato, subito mi sporgevo per verificare se al fondo non ci fluisse qualche vena d'acqua, anche sfinita, sottile, purché desse l'impressione di trascinare un segreto e di custodire una chiarezza. Ma dove io sono nato la terra non produce torrenti, è terra fertile di frutta e abbonda di acque sulfuree e salse, è appena ondulata, non potrebbe partorire queste masse d'acqua bianca che scroscia». Le onde del mare restano sempre e solo moto di superficie, hanno «il respiro largo e distante dell'universo». Nei torrenti alpestri Antonio Franchini sente invece «il battito affannoso della creatura, l'inevitabilità dolorosa della scelta nella schiuma della rapida». Il fiume come rito di passaggio, porta stretta che occorre affrontare per crescere, Minotauro da prendere per le corna. Il fiume scrive cose sempre diverse; il canoista-scrittore si danna e si esalta nell'interpretazione di quelle pagine d'acqua. Le rapide hanno nomi da Indiana Jones: Estasi, Schegge, Sfinge, Toboga, Insensata: sono maliarde e traditrici RACCONTI DI FIUMI E DI PAGAIE come altrettante dark ladies. E non a caso Franchini racconta storie d'amour fou e di morte, perché non c'è vero Eros che non sia anche corteggiamento di Thanatos. I protagonisti di queste storie sono spesso degli ex: uno scorbutico campione di canoa che invecchia gestendo di malagrazia un campeggio, un rocciatore sommo ridotto a occuparsi del bar, uno scrittore che decanta la sua inquietudine nel metodo feroce della pratica sportiva (è il sardo Luca Treu: chi sa riconoscere il modello cui Franchini si è ispirato? Viveva a Torino, e in molti gli volevamo bene). Sembrano personaggi di Conrad, malinconici e dignitosi, pronti all'ultima sfida, con la mezza smorfia di un Gary Cooper che invece del revolver impugni la pagaia. Quando il campeggio chiude, resta la felicità del ricordo: «A me piace anche soltanto pagaiare, fare manovre sotto le rapide, inebriato dall'ossigeno che si sprigiona dall'acqua bianca, allenarmi a entrare e uscire dalla corrente, oppure slanciarmi dove l'onda ribolle, infilare la punta nei buchi e lottare con i ritorni, con l'effervescenza che scuote e ribalta». Ernesto Ferrerò

Persone citate: Antonio Franchini, Ernesto Ferrerò, Franchini, Gary Cooper, Hemingway, Luca Treu

Luoghi citati: Milano, Torino