MA ADESSO PUNTIAMO AI DICIOTTO
MA ADESSO PUNTIAMO AI DICIOTTO MA ADESSO PUNTIAMO AI DICIOTTO CARO ministro, l'accusano di aver ordito un «colpo di mano», decidendo che la scuola dell'obbligo non deve più fermarsi ai 14 anni, ma prolungarsi fino ai 16. Se il colpo di mano di solito è una colpa, questo è una «fetix culpa». A mio modesto parere, non tutti le sono riusciti come questo, e ne parleremo; ma questo ci leva da una vergogna: la vergogna di essere scivolati sempre più indietro, nella gara dell'istruzione, e sfornare la giovane generazione meno acculturata d'Europa. In Belgio i ragazzi studiano fino a 18 anni, idem in Germania, in Danimarca fino a 16, in Francia fino a 15. Da noi, solo fino a 14. Le cosiddette scuole medie. Che medie erano una volta: ora sono infime. La cultura media di una volta poteva bastare a fare un discreto cittadino; oggi, fa solo un suddito. Che non sa leggere un giornale, capire un tg, discutere un libro, ragionare su un film. Come vive quest'uomo dalla cultura di scuola media? Vive chiudendosi nella sacca della cultura locale. Un sottomondo di bertoldi. Bar, discoteca, lavoro, tifo, vacanze. Quando voterà, voterà da uomo emerso per un attimo dal sottomondo: un voto vendicativo, irrazionale, pericoloso. Ben venga dunque il suo colpo di mano: a partire da settembre, i ragazzi studino due anni di più. Ma cosa sono questi due anni? Da settembre saranno esattamente come sono sempre stati. Non saranno «biennio di formazione», ma «classi di collegamento». Ministro, il collegamento è un ponte. Che senso ha, a questi ragazzi, fargli passare il ponte e poi lasciarli lì? Non è un aiuto, è un danno. Tanto più che, così, com'è ora, quello è un «ponte a ritroso». I ragazzi usciti dalla media ed entrati nelle classi di collegamento, ricominciano da capo: storia orientale, Grecia, Roma, invasioni barbariche. Fine, tutti a casa, cittadini del mondo. Ma che rapporto c'è fra quella cultura lì e il mondo d'oggi? Nessuno. Alcuni di quei popoli barbarici son diventati padroni d'Europa. Il biennio non ci collega a loro ma ci allontana. Il colpo di mano che lei ha compiuto ha un senso solo se ne compirà un altro subito: l'obbligo fino al triennio compreso. Ministro, a chi va in cerca di lavoro aver fatto il triennio serve per trovarlo. E a chi ha trovato il lavoro serve a non perdere la vita. Le città povere hanno disoccupati impreparati; le città ricche hanno il primato di bocciati e di ritirati. Bisogna smetterla con i ritiri, e introdurre l'obbligo di finire gli studi superiori. Quando lo chiedevo al presidente della Regione Veneto, che ha il primato dei ritiri, mi rispondeva: «Non ho questo potere». Lei, ministro, ce l'ha. La scuola era immobile da tempo, lei la scuote con decisioni a catena. La maturità non aveva senso, dava risultati casuali, e perciò dannosi anche psicologicamente sul maturando: gli insinuava il sospetto che nella vita non ci sia rapporto tra merito e risultato. Con la riforma, il rapporto torna. La sostituzione, parziale, del tema d'italiano è un contentino ai modernisti. Ma il tema aveva una sua funzione. Il tema fa vedere sempre chi sa scrivere, e chi sa scrivere sa ragionare. Ci sono Ingegneri da tre miliardi l'anno, che quando compilano la giustificazione per l'assenza del figlio scrivono: «Causa indisposizione, giustifico mio figlio». Vorrei vedere i progetti di quegli ingegneri. Lei ha ritoccato i programmi di storia, ridistribuendo i secoli tra gli anni di corso. Più Novecento, insomma. Ma il problema è che i ragazzi sentono la storia come storia degli altri, non come propria: perché nelle scuole non si insegna ciò che è accaduto in loco. L'unità di un popolo è nelle sue radici: perse quelle, ognuno crede di aver origini diverse. Raccomandi che città e province completino l'insegnamento della storia spingendosi ai fatti rilevanti accaduti in loco dalla seconda guerra ad oggi: un supplemento di 10-12 pagine, scritte da professori del luogo, per spiegare al ragazzo da dove viene. Saranno le uniche pagine che il ragazzo non dimenticherà. Se fa queste cose, ministro, può darsi che i giovani la odieranno: ma da grandi la ringrazieranno. E' il destino di coloro che lavorano nella scuola. Glielo ricorda, a nome loro, il vecchio professore. vsmsadOiFerdinando Camon
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