«E'i il crimine del 2000» di Liliana Madeo

«E'i il crimine del 2000» «E'i il crimine del 2000» Gli esperti: sale il valore dell'arte ^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^ LA NUOVA ARMA DEGÙ ESTORSORI LROMA A rapina della Galleria d'Arte Moderna? Un fatto molto positivo. E' l'arte che va a mettersi al centro della nostra cultura» esordisce, provocatoriamente, il sociologo Sabino Acquaviva. E' il giorno successivo alla scoperta dell'irruzione armata in un'istituzione pubblica, difesa da sistemi d'allarme e custodi che tre malviventi hanno reso impotenti. Il giorno delle riflessioni e delle accuse. Acquaviva osserva: «Prima i furti venivano fatti nelle chiese, nelle case, nei musei meno protetti. Questo furto è qualcosa di diverso, molto legato al mutamento della nostra cultura. L'opera d'arte diventa più importante. Mostra che esistono collezionisti che sono grandi amatori, disposti a rischiare pur di possedere l'oggetto del loro desiderio. Indica anche che i ladri sono più colti di una volta, sono di un certo livello. Ma questi quadri non si possono vendere, non hanno nessuna possibilità di essere immessi sul mercato. E' più probabile quindi che il furto sia stato fatto per ricatto, usando l'opera d'arte come merce di scambio. Noi stiamo passando da una civiltà a un'altra, da quella definita dai criteri di produzione dalla visibilità del prodotto, dalla concorrenza fra una parte e l'altra del pianeta, a una società di lavoro e beni immateriali, di simboli e cose virtuali. Una società in cui la materialità si riduce e cresce la dimensione virtuale. Anche i delinquenti sono cambiati. Vanno a collocarsi negli spazi dove la nostra cultura ci porta. Quanti sono i furti che si com- piono attraverso le strade informatiche, espressione del nostro tempo? E' in questa prospettiva che l'opera d'arte cambia la sua valenza: perde sul terreno della materialità, cresce nel suo valore simbolico, tanto da diventare l'oggetto su cui si può puntare per ottenere una grossa contropartita». All'eventuale collezionista che fa entrare in azione un commando armato per impossessarsi di tre capolavori, pur sapendo che non può né esporli né venderli e deve tenere per sé per chissà quanto tempo il suo segreto, credono poco i mercanti d'arte che di questo mondo conoscono le sfumature e le ombre. Dice Giò Marconi, gallerista milanese: «L'amante d'arte che si innamora troppo, tanto da far commettere un furto così clamoroso, mi piace immaginarmelo. Ottiene l'opera che predilige e se la gode solo lui, neanche può mostrarla agli amici. Ama l'opera d'arte in sé, indipendentemente dal suo valore commerciale, dal fatto che non la può vendere, non può specularci sopra. Un sogno, per un gallerista. Ma la realtà è ben diversa. Un collezionista così è improbabile, io non lo conosco. Dietro questa vicenda vedo invece qualcosa d'altro, e non poco inquietante. Vedo plausibile l'ipotesi del ricatto. Questo sì che ci porta su un terreno nuovo e minato. Non era mai successo da noi niente di simile (tolto il furto dei Velazquez e del Correggio alla Galleria Estense di Modena che il boss Felice Maniero si era candidato a far ritrovare in cambio di vantaggi per la sua situazione processuale, ndr). Forse stiamo assistendo alla nascita delle forme del terrorismo e della criminalità che contrassegneranno la fine del secolo». Anche Netta Vespignani, che a via del Babuino a Roma ha una nota galleria, non crede al furto su commissione. Dice: «Il collezionista si è fatto avvertito. Non rischierebbe mai di tenere in casa un oggetto così noto e pericoloso. Mi sembra più credibile che le opere d'arte siano state prese per mercanteggiare qualcosa di molto diverso. Quello che mi colpisce è che si sia scelto, per un ricatto o riscatto, un oggetto prezioso. E' un fatto indicativo del valore che il dato culturale in sé ha assunto. Mai prima si parlava tanto di cultura. Era una faccenda di pochi. Siamo entrati nel boom della cultura. Questo è uno degli effetti perversi che ne possono esserne derivati. Già i musei erano poco preparati a difendersi da furti e vandalismi, ma ora sono entrati in funzione gli uomini armati. Tutta la situazione è da rivedere. E le grandi mostre, i grandi eventi culturali che da noi si fanno, mettono in vetrina il valore di quanto si espone. La nostra società dà valore alle cose se valgono denaro. Ricordiamoci la mostra di Van Gogh a Roma di qualche anno fa: c'erano file interminabili, fu un delirio, un pellegrinaggio pazzesco. Andava a guardare Van Gogh anche chi mai aveva saputo qualcosa di questo pittore. Sapeva però che un quadro di Van Gogh era stato venduto per 30 miliardi. Si andava a vedere l'oggetto che brillava di tanto denaro». Liliana Madeo La polizia all'ingresso della Galleria d'arte moderna di Roma. A sinistra, «Le cabanon de Jourdan», dipinto nel 1906 da Paul Cézanne, uno dei tre quadri rapinati mercoledì

Luoghi citati: Correggio, Modena, Roma