Piazza Fontana a giudizio in 7
Piazza Fontana a giudizio in 7 Milano: inchiesta conclusa dopo 29 anni Piazza Fontana a giudizio in 7 MILANO DALLA REDAZIONE Ci sono voluti 29 anni perché ieri mattina i pm Grazia Predella e Massimo Meroni arrivassero a scrivere la parola fine sulla strage di piazza Fontana presentando la loro richiesta di rinvio a giudizio al gip Clementina Forleo. Dunque, 29 anni, 16 morti, decine di feriti, due «colpevoli» innocenti: il «mostro» Pietro Valpreda e l'anarchico Giuseppe Pinelli, la diciassettesima vittima, morto cadendo da una finestra della Questura. Sono i numeri di una strage «nera» che adesso per la procura di Milano ha finalmente dei colpevoli. Questi: l'imprenditore miliardario italo-giapponese Delfo Zorzi, indicato come autore materiale e leader del gruppetto neofascista che, con la connivenza e l'appoggio di elementi deviati dei servizi segreti (non solo italiani) mise la bomba nella sede della Banca dell'Agricoltura; il medico mestrino Carlo Maria Maggi, arrestato due anni fa e poi scarcerato per problemi di salute; quindi i due ex onlinovisti Giancarlo Rognoni e Carlo Digilio che si autoaccusò della strage davanti al giudice istruttore Guido Salvini, ripetendo poi le sue verità anche davanti ai pm della procura. L'accusa per loro è pesantissima: concorso in strage. Di favoreggiamento aggravato sono invece accusati i due ex neofascisti Piero Andreatta e Giancarlo Montagne. I magistrati hanno infine chiesto uno stralcio e conseguentemente una proroga per continuare le indagini nei confronti dei due ex dirigenti del Viminale, Ferrigno e Savio, accusati di aver occultato materiale e documentazione rilevantissima nelle indagini, nascondendola tra le centinaia di migliaia di carte ri- L'acè di coin stChidal gquastr cusa ncorso rage esti udice ttro alci trovate nell'archivio «dimenticato» di Via Appia a Roma. Stralcio anche per i due ex onlinovisti veneti Zagolin e Battistoni. In tutto sette persone, legate a quella «pista nera» che venne imboccata solo dopo i primi pentimenti avvenuti a metà degli Anni 80 negli ambienti dell'estrema destra, raccolti con pazienza dai due ultimi giudici istruttori rimasti in Italia, Guido Salvini e Antonio Lombardi. Furono i verbali accumulati nelle inchieste sull'eversione nera, in particolare le testimonianze degli ex neofascisti Martino Siciliano e Carlo Digilio, le intercettazioni ambientali e telefoniche e numerose nuove testimonianze a far sì che due anni e mezzo fa i pm Grazia Predella e Massimo Meroni decidessero di riaprire l'inchiesta provando a rimettere insieme innumerevoli tasselli che rischiavano di andare definitivamente perduti. Inchiesta che spalancò non solo vecchi armadi (riprecisando Ù ruolo dei servizi deviati e della Cia) ma anche nuove stagioni di polemiche e veleni per indagini che non hanno avuto pace fino all'ultimo. Prova ne sia la fuga polemica del pentito Martino Siciliano, scappato dal programma di protezione pochi giorni fa per andare a rifugiarsi in Venezuela, senza aver dato conferma, nel corso dell'incidente probatorio, ai suoi verbali fiume. Nonostante ciò, ieri i due pm hanno deciso di mettere la parola fine alle indagini. Segno forse che in qualche modo sono riusciti a riallacciare i contatti con Siciliano, le cui testimonianze vengono giudicate fondamentali, ancor più forse di quelle di Digilio, le cui difficili condizioni di salute, come hanno riscontrato i medici incaricati dal gip, hanno forse compromesso le capacità mnemoniche. L'accusa è di concorso in strage Chiesti dal giudice quattro stralci Un'immagine della strage di Piazza Fontana avvenuta '29 anni fa. L'inchiesta è stata condotta dal giudice Salvini
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