LA VECCHIA COMPAGNIA di Gad Lerner

LA VECCHIA COMPAGNIA PAGINA LA VECCHIA COMPAGNIA dirsi riformato. Quando dirigenti come D'Alema e Vioirnte hanno preso le distanze dalla rivoluzione giudiziaria, condannando le interpretazioni storico-politiche di Gherardo Colombo e ignorando la campagna antipartitocratica di Antonio Di Pietro, al popolo di sinistra ne è pervenuto un messaggio di svolta: ora per davvero lo Stato siamo noi, le doppie lealtà e gli intrighi istituzionali appartengono al passato di questa Repubblica, lavoriamo con l'opposizione a costruire un futuro di regole condivise. Cimentandosi nell'impresa del governo del Paese, è dunque parso che il gruppo dirigente di Botteghe Oscure accantonasse, per la verità con una certa frettolosa disinvoltura, la sua tradizionale interpretazione di una vicenda italiana caratterizzata dall'intreccio tra politica e criminalità, istituzioni e poteri invisibili. Un'interpretazione che aveva trovato proprio in Luciano Violante il suo più autorevole teorico (ancora di recente, riflettendo sul sequestro Moro, il presidente della Camera non esitava a indicarne il nesso con gli omicidi mafiosi di Falcone e Borsellino avvenuti quattordici anni dopo). Qualcuno potrebbe insinuare che il definitivo accantonamento delle riserve di sinistra sulla natura della Repubblica italiana sarebbe avvenuto strumentalmente solo in seguito alla conquista del governo. Come dire: lo Stato è diventato sano, ma solo perché ora lo controlliamo noi. Quando però le debolezze e le incongruità di questo Stato tornano a manifestarsi, di nuovo scatta il riflesso condizionato. Ieri, commentando l'onta dei Van Gogh e del Cézanne sottratti al Museo d'Arte mo- derna di Roma, così si esprimeva il vicepremier diessino Veltroni: «Quante stranezze, come se la vecchia compagnia si fosse rimessa in me. -,». La vaghezza di quei termine allusivo, vecchia compagnia, consente di riferirlo insieme a mafiosi, piduisti, avversari politici, apparati statali deviati, potenze straniere. Tutto si tiene, da Gelli a Cuntrera ai rapinatori di quadri. Sono, quelle di Veltroni, illazioni molto poco adatte a un responsabile governativo. Certo non è il caso di ingigantirne la portata, eppure riflettono bene la psicologia di un popolo di sinistra alle prese con le difficoltà della gestione del potere. D'Alema, Violante, Salvi, Mussi, Folena hanno avviato nella prassi politica quotidiana la demolizione dell'idea secondo cui la nostra resterebbe una democrazia perennemente sub judice. A prima vista dunque gli intellettuali di sinistra riuniti ieri a Roma dall'Istituto Gramsci in un convegno su «Doppia lealtà e doppio Stato nella storia della Repubblica» esprimerebbero preoccupazioni ormai sorpassate dai dirigenti politici, o meglio, ricondotte esclusiva mente all'analisi delle vicende passate. Ma sappiamo benissimo che non è cosi: nella fatica con cui il popolo di sinistra sta vivendo questa per lui ine dita esperienza di governo, si avverte il peso di un travaglio culturale tutt'altro che risol to. I dubbi riguardano non so lo la lealtà e l'onestà degli avversari, ma perfino la traspa renza delle istituzioni guidate dai ministri amici. Ministri di cui, purtroppo per loro, non possono più chiedere le dimissioni. Gad Lerner

Luoghi citati: Falcone, Roma