Lo scettro di Suharto al figlio adottivo

Lo scettro di Suharto al figlio adottivo Habibie riceve il leader islamico e apre agli studenti: «La rivolta? Una boccata d'aria fresca» Lo scettro di Suharto al figlio adottivo Un terremoto saluta le dimissioni del vecchio leader GIAKARTA DAL NOSTRO INVIATO Suharto si è dimesso, Suharto mantiene il potere. In poche ore l'Indonesia, grande e disperata, ha attraversato il terrore, la speranza, l'euforia, la disillusione scoprendo alla fine di non essere mai uscita dall'emergenza. Il presidente si è dimesso, il delfino Jusuf Habibie prende il suo posto. L'ultimo superstite della Guerra fredda si ritira dietro le quinte: se nelle cose esistesse una logica, in un giorno come questo le sue dimissioni sarebbero fatto storico, reperto di un mondo che si dissolve. E' un mondo che continua, invece: per l'Indonesia Jusuf Habibie, dittatore in maschera, è solo la mascheratura di un'epoca che si perpetua, di un gigantesco problema economico, prima che politico, dinanzi al quale il resto del mondo riesce a produrre solo un rinvio. Sono le nove quando l'ex dittatore torna in tv. Appena tre giorni fa era apparso affettuoso, paterno, sicuro di sé. Oggi è uno sconfitto: l'Indonesia poteva anche gridargli di andarsene, ma il sussurro degli Stati Uniti e del suo segretario di Stato, Madeleine Albright è risultato più forte di un sisma. A proposito di terremoti: dev'esser vero che Suharto era protetto da forze superiori. Mentre sta annunciando all'Indonesia che se ne va (anzi, in un'allocuzione tipica dei luoghi, che lui «ritira il nome dalla presidenza») nell'isola di Sulawezi si scatena un terremoto del sesto grado Richter. Il disqorso è lungo e ampolloso come si conviene alle tradizioni dell'arcipelago, ma la sostanza si traduce in tre punti. Vista la situazione, dopo 32 anni il dittatore si ritira; l'Indonesia ha bisogno di restare unita; il vice presidente Habibie prende il potere (meglio, la carica) e resterà alla guida del Paese fino alla scadenza del mandato già assegnato a Suharto, ovvero il 2003. Pochi minuti dopo Habibie giura, in serata lancerà il primo appello alla nazione in un breve, cortese, generico discorso televisivo. «La protesta degli studenti ha attraversato l'Indonesia come una boccata d'aria fresca...dobbiamo fare tutti tesoro di questa energia...prometto che le riforme partiranno al più presto, e intanto formerò un governo libero da nepotismi, forte per competenza, efficienza, impegno... L'Indonesia manterrà tutti i suoi impegni coi partners stranieri e il Fondo monetario internazionale». E' il classico discorso della Corona zeppo di tutto ciò che una parte del Paese aspetta e l'altra teme. Ma in attesa delle prime verifiche (il nuovo governo sarà presentato oggi) sulle intenzioni del Delfino nessuna illusione. Esaurita l'introduzione sinuosa ai vaghi propositi di una gestione senza potere, Habibie sparge strati di caramello su due affermazioni illuminanti. La prima: le riforme avverranno secondo Costituzione e in base a principi della «Pancasilja», lo strano pentalogo ideato da Suharto 25 anni fa e da allora mai rinnegato. Secondo punto: «Come Nazione, come gente di cultura, come popolo non potremo nai dimenticare la dedizione e l'impegno che Babà Hagi Mohamed Suharto ha profuso per 25 anni, innalzando il livello di vita dell'Indonesia. Di questo dobbiamo essergli tutti grati». Meglio, obbligati. La sceneggiatura di questi giorni imporrebbe adesso di parlarvi del tripudio dei giovani, della festa degli studenti che invadevano il Parlamento, non attendevano che di celebrare con danze, canti, slogans, chitarre, tamburi. C'è perfino un «giallo» dell'ultim'ora: sembra che prima delle dimissioni, l'altra sera, il generale Prabowo, genero di Suharto, fosse pronto a lanciarsi contro gli studenti che occupavano il Parlamento con 400 uomini delle truppe speciali. Sarebbe stato bloccato all'ultimo istante e forse arrestato per qualche ora. Fin qui però si resta alla superficie: in realtà le analisi di chiunque conosca questo Paese dimostrano che il «maquillage» indonesiano è servito solo a fare in modo che tutto cambi perché tutto resti identico. Bill Clinton auspica che il ricambio sia premessa «per un reale mutamento democratico», il nostro ministro degli Esteri Dini si dice certo che «il cambiamento sarà per il meglio». E' una speranza: eppure rispetto ad una settimana fa non si capisce cosa possa essere cambiato in Indonesia, se non in peggio. Da ieri, un autocrate con tutto il suo sistema di potere si è appostato dietro le quinte ponendo il suo figlioccio a capo di un potere che resisterà solo fin quando esiste il Capo. Dal punto di vista della personalità, delle capacità di gestire un'economia così condizionata e complessa, il dottor Habibie (che ha studiato in Germania) viene definito dagli economisti come «un incrocio fra il Kaiser Guglielmo e Paperon de' Paperoni». A nome delle opposizioni, Amien Rais dice già di non credere alle sue promesse: «Aspettiamo di vedere come sarà composto il governo, aspettiamo i fatti». E sembra già difficile che fatti nuovi si rivelino incoraggianti. Quand'era ancora ministro, Habibie reagì alle critiche di alcuni giornali ordinandone la chiusura. Adesso resta sotto la tutela di numerosi padri, in attesa che il resto del mondo decida fino a che punto l'Indonesia può rientrare nelle coordinate bancarie globali. Nel frattempo l'c . irrito resta arbitro della situazione: il generale Wirando ha parlato solo per dire che «rimane fedele all'ex presidente e proteggerà il nuovo». Giuseppe Zaccaria Esplode la festa dei giovani Clinton e Dini: meglio così Esplode la gioia degli studenti dopo l'annuncio delle dimissioni di Suharto. Il nuovo presidente resterà in carica fino al 2003