«Così comprovano i giudici» di Paolo Colonnello

«Così comprovano i giudici» Lo scontro con Berlusconi nei verbali dell'interrogatorio dell'Ingegnere al pool di Milano «Così comprovano i giudici» De Benedetti: 10 miliardi per il lodo Mondadori MILANO. ((All'epoca io non avrei mai pensato che si "comprassero sentenze", pensavo che esistesse una certa indipendenza dei magistrati dalla politica. Ho successivamente cambiato opinione ed è da tempo mia convinzione che un'altra sentenza che mi ha riguardato, quella relativa all'annullamento del "lodo Mondadori" da parte della Corte d'Appello di Roma sia stata comprata. Anzi da parte degli avvocati, addirittura, si diceva già allora che la sentenza era stata battuta a macchina nello studio dell'avvocato Acampora...». E' il 4 dicembre scorso. Negli uffici della Criminalpol di Milano, davanti a Ilda Boccassini e Gherardo Colombo, Carlo De Benedetti mette a verbale sospetti e perplessità su due grandi affari della sua vita finiti male: il tentativo d'acquisto della Sme e la perdita della Mondadori. Si tratta di dichiarazioni molto pesanti, in grado di far accendere una nuova guerra giudiziaria tra l'ingegnere e il gruppo di Segrate il quale già annuncia «querele e azioni di riparazione e di risarcimento nei confronti di tutti i responsabili della diffamazione». Già da qualche mese i magistrati del pool di Mani Pulite stanno indagando su questi due filoni, nati in seguito all'invio dalla Svizzera di documentazioni e conti che dimostrano coincidenze di versamenti di denaro con le «svolte» giudiziarie delle due vicende. E ora, nelle parole dell'ingegnere di Ivrea, del suo avvocato Vittorio Ripa di Meana, e di altri, pare comincino a trovare le prime conferme ai loro sospetti. Che la Fininvest però giudica «calunniose» definendo, in una nota, le parole di De Benedetti «ricostruzioni romanzesche». «Preciso - continua De Benedetti - che l'avvocato Ripa di Meana, che a sua volta riportava cose sentite nell'ambiente degli avvocati di Roma, mi disse che la sentenza della corte d'appello con cui era stato annullato il lodo era costata 10 miliardi più la promessa della presidenza della Consob al giudice Sanmarco». Ovvero lo stesso magistrato presidente di quella Corte d'appello che nel 1991 annullò il lodo Mondadori spalancando a Berlusconi le porte della casa edi¬ trice. Conferma 6 giorni dopo, 1' 11 dicembre, davanti agli stessi magistrati, il legale dell'epoca di De Benedetti, l'avvocato Vittorio Ripa di Meana, spiegando di aver appreso quelle «voci» dall'imprenditore Ciarrapico (mediatore andreottiano nella guerra di Segrate): «Mi aveva detto: "alla Corte d'appello girano con il cappello in mano", lasciandomi intendere che erano stati pagati i magistrati per ottenere un esito favorevole della sentenza». Voci, racconta il legale, che lo preoccuparono sul serio quando, incontrando nel dicembre '90, l'allora presidente Consob, Bruno Pazzi questi, venti giorni prima della sentenza che avrebbe deciso le sorti della Mondadori, vaticinò la sicura sconfitta del gruppo De Benedetti. «Il presidente Consob non mi volle dire come l'aveva saputo ma disse chiaramente che dovevo togliermi ogni speranza sull'esito favorevole del ricorso. Aggiunse che, siccome era in scadenza il suo mandato, al suo posto sarebbe venuto proprio il presidente Sanmarco, che a sua volta andava in pensione sponsorizzato dall'allora presidente del Consiglio Andreotti...». L'ipotesi della procura è che le sentenze che diedero torto a De Benedetti siano state acquistate a colpi di miliardi dal suo «eterno» rivale, Silvio Berlusconi, finito sul registro degli indagati insieme ad altri personaggi noti delle vicende giudiziarie degli ultimi anni: gli avvocati Cesare Previti, Attilio Pacifico, Giovanni Acampora e l'ex capo dei gip romani Renato Squillante, tutti (tranne Berlusconi) già inquisiti anche per la presunta maxi-tangente di 67 miliardi pagata, secondo le accuse, per favorire gli eredi Rovelli nella causa Imi-Sir (1000 miliardi). Le carte di Sme e lodo Mondadori son'o state depositate insieme alla richiesta di rinvio a giudizio per Berlusconi e altri imputati di corruzione in atti giudiziari. De Benedetti, parlando dell'avventura Sme, ricostruisce il clima politico a lui ostile di quegli anni, in particolare nei rapporti con Craxi, allora presidente del Consiglio, che, secondo l'ingegnere, «mi considerava un nemico politico, facendo risalire a me la posizione che assumeva il giornale Repubblica nelle vicende politiche». Così De Benedetti si dice convinto che «se prima d'intraprendere la mia iniziativa fossi passato dalla segreteria amministrativa del partito socialista e a rimorchio di quella della de, la conclusione della vicenda sarebbe stata diversa e probabilmente anche le ostilità di Craxi nei miei confronti si sarebbero molto ridimensionate». L'ingegnere racconta che, nell'85, gli accordi per l'acquisto della Sme - l'offerta era di 400 miliardi - vennero presi direttamente con Romano Prodi, all'epoca presidente di Iri, alla presenza del presidente di Mediobanca, Enrico Cuccia, e del presidente dell'Imi, Luigi Arcuti. Sembrava cosa fatta, tanto è vero che «quando si diffuse la notizia della mia iniziativa, gli operatori del settore, in particolare Pietro Barilla e il presidente della Ferrerò, Franzo Grande Stevens, mi telefonarono per complimentarsi». Non solo: «Mi telefonò anche Silvio Berlusconi dicendomi che avevo avuto un'idea geniale e felicitandosi. Io ritenni che la telefonata fosse anche indirizzata per stabilire dei precontatti al fine di ottenere poi pubblicità». Invece, appena qualche mese dopo, gli stessi che avevano chiamato per complimentarsi si riunirono in un ristorante di Broni, vicino a Pavia, per creare, con la regia del commercialista craxiano Pompeo Locatelli, una cordata concorrente in grado di soffiareTàffare a De Benedetti, la Iar. La cordata si formò a Milano il 10 giugno del 1985 (sede negli uffici Fininvest) e cinque giorni dopo il ministro Darida emanò un decreto con il quale invitava l'Ili ad esaminare ulteriormente tutte le offerte nel frattempo pervenute. «Non ho alcun dubbio - dice l'ingegnere - che Berlusconi si mosse su richiesta di Craxi e che fu per questo che aggregò a sé Barilla e Ferrerò». L'intervento della cordata «nemica» provocò una reazione giudiziaria di De Benedetti che chiese il sequestro delle azioni Sme, incassando in primo grado (giudice Filippo Verde) una sonora sconfitta. Furono in molti, ricorda De Benedetti, a caldeggiare il rinvio di quella firma per l'acquisto della Sme: «Uno fu senz'altro Forlani, un altro Darida, e Franco Piga...». Come se non bastasse, nei giorni febbrili dell'accordo De BenedettiIri vi fu un intervento di «disturbo» dell'avvocato Italo Scalerà, fino ad allora sconosciuto legale di Roma. Scalerà all'epoca presentò una controfferta di 550 miliardi per conto di un anonimo imprenditore, che servì in realtà solo per far guadagnare tempo alla cordata Berlusconi-Ferrero-Barilla. Chi era il misterioso investitore di cui l'avvocato rappresentò gli interessi? «Dopo 12 anni - mette a verbale Scalerà - ritengo di non avere più alcun interesse da tutelare... Il noto imprenditore di cui ho parlato era Silvio Berlusconi. Ribadisco che Berlusconi mi fece una telefonata con la quale mi chiedeva di mandare all'Ili un'offerta per nome e per conto di operatori finanziari che non dovevano essere in dicati». Paolo Colonnello «Alla corte girano col d'appello di Roma cappello in mano» Ma la Fininvest replica «Ricostruzione romanzesca» dici» ondadori