Gaber: è contagiosa la forza del malumore di Osvaldo Guerrieri
Gaber: è contagiosa la forza del malumore All'Alfieri «Un'idiozia conquistata a fatica» Gaber: è contagiosa la forza del malumore TORINO. 1 malumori di Gaber... Ormai si sono incancreniti e ramificati. Riusciranno mai a placarsi sulla riva azzurrina dell'ottimismo? Giorgio Gaber porta all'Alfieri, ospite dello Stabile di cui conclude la stagione, l'ultima delle sue crociate ideologiche, «Un'idiozia conquistata a fatica». E' un ulteriore esempio di teatro-canzone, scritto come di consueto con Sandro Luporini e puntato come un fucile contro il liquefarsi della coscienza individuale e collettiva. «E pensare che c'era il pensiero», dichiarava Gaber con il suo spettacolo di due anni fa. Corollario di quella riflessione, anzi sua diretta conseguenza, è l'attuale analisi di un mondo che non sa più avere rapporti con la cultura e l'intelligenza, utilizza le idee come merce di scambio, costruisce i suoi idoli non su un preciso valore, ma sul tasso di popolarità conquistato sugli schermi televisivi. La parata è sconsolante, ma diventa cupa quando trascina con sé i temi della disoccupazione, del razzismo, della democrazia che rischia di diventare una parola vuota. E contro questo pullulare di sgradevolezze, emerge la sagoma di un omino che forse vorrebbe andare controcorrente, che di sicuro ha una sua personalità, una visione etica e civile, un senso di appartenenza. Ma, sia costui un «filosofo overground», o un tale che ha smarrito (letteralmente) la casa, e con la casa la mamma, e con la mamma l'Italia, chiunque egli sia, deve faticare come un pazzo: trova dinanzi a sé una realtà sfuggente, una donna che non sa mai dire né sì né no, la perdita delle coordinate civili, che alla destra e alla sinistra hanno sostituito il mercato globale. Accompagnato da un ottimo quintetto musicale, alternando la prosa alla canzone, Gaber espone i suoi temi con lo stile di sempre: acido, ironico, a volte buffonesco, eppure offeso. Come tutti i moralisti, è un po' predicatorio. Come tutti i polemisti, evita il chiaroscuro per arrivare dritto al nocciolo dei concetti. Ma procede implacabile, con la forza del suo malumore. Gaber ha aperto la serata un po' in sordina. Nel suo abito grigio con gilè, sembrava quasi che non riuscisse a scaldarsi. Ma poi, quando il foltissimo pubblico ha mostrato di cogliere e magari di condividere i suoi furori, u cbma è cambiato, lo spettacolo è diventato rabbioso, anche nella malinconia. Alla fine era tale l'intreccio di complicità tra palcoscenico e platea, da rendere inevitabili i bis: canzoni politiche divenute famose, ma soprattutto e inattese, le canzoni dei primissimi successi. Imbracciando la chitarra, e con quel tanto di fiato che gli restava, Gaber ha riproposto «Barbera e champagne», «La ballata del Cerutti», l'intramontabile «Non arrossire». Che canaglia: mancava poco ci facesse piangere. Si replica fino al 31. Osvaldo Guerrieri
Persone citate: Barbera, Cerutti, Gaber, Giorgio Gaber, Sandro Luporini
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