Bacon, amante diabolico

Bacon, amante diabolico Bacon, amante diabolico La vita del pittore raccontata da Maybury CANNES. Nel 1971 il Grand Palais di Parigi ospitò un'importante mostra che consacrò l'arte di Francis Bacon; ed è noto che Bernardo Bertolucci, allora in procinto di girare «Ultimo tango», ne fu folgorato: tanto da chiedere a Marion Brando di impersonare il suo personaggio nella chiave di disperazione espressa da quei dipinti, che peraltro appaiono nei titoli di tesia del film a ribadirne il valore di riferimento. A questo primo omaggio del cinema al pittore inglese si aggiunge oggi un bellissimo biopic, opera prima dell'avanguardista londinese John Maybury, già scenografo per Derek Jarman in «Requiem War». Dal che si capisce che con «Love is the devil» non stiamo dalle parti del polpettone hollywoodiano, ma semmai del raffinato cinema del compianto cineasta inglese. Proprio come Jarman nel suo «Caravaggio», Maybury si accosta all'artista sul piano profondo della forma, incorporando il suo stile, se così si può dire: i corpi imprigionati nella solitudine di uno spazio claustrofobico, l'angosciosa distorsione delle figure, l'uso particolare delle luci e la gamma dei colori. E scegliendo uno spaccato di vita significativo, quello della tormentata relazione con George Dyer: un ladruncolo dell'East End che, avventuratosi nel '64 a rubare nell'atelier di Bacon, ne divenne l'amante e il modollo per sette anni, fino al '71, quando si suicidò a Parigi proprio in coincidenza con la personale al Grand Palais. In stretta collaborazione con Daniel Farson, scomparso nel novembre scorso, vecchio amico di Bacon e autore di un'accreditata biografia («The Guilded Gutter Life of Francis Bacon»), Maybury ha assimilato un'enorme quantità di materiali, tutto quello che passa sullo schermo è docu¬ mentato: nella cornice della Swingin' London emerge senza abbellimenti l'aspetto snob e bohémien del personaggio, il suo sadomasochismo (nel rapporto sessuale amava subire, ma per prendersi la rivincita sul partner con l'arma di uno sprezzante egocentrismo), le sue proterve infedeltà con il prostituto di turno, la sua corte di amici pettegoli del Colony Room gestito dalla lesbica Muriel Belcher (qui impersonata da un'irriconoscibile Tilda Swinton). Ma il l'ascino del film è nella reinvenzione, nel suo essere un vero e proprio «studio per un ritratto di Francis Bacon», come recita appropriatamente il sottotitolo. Sullo sfondo di ambienti, l'appartamento, le stanze d'albergo, i club dalla valenza quasi astratta, il pittore e il povero George (di cui l'attore Daniel Craig incarna con efficacia il suo disperato senso di inadeguatezza) scivolano sul crinale della tragedia, assumendo la dimensione visuale ed espressiva di due tipiche figure baconiane; e bisogna dire che la straordinaria interpretazione di Derek Jacobi, con la sua sofisticata ferocia a esorcizzare il terrore della morte, suggerisce addirittura l'idea di un Bacon in autoritratto. Alessandra Levan+esi Nella veritiera biografìa emergono i lati sadomaso e snob del personaggio Nella fotografia un'opera del pittore inglese Francis Bacon protagonista del film del regista d'avanguardia John Maybury

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