Edgardo Sogno e la guerra di Spagna. A chi servono gli orfanotrofi

Edgardo Sogno e la guerra di Spagna. A chi servono gli orfanotrofi lettere AL GIORNALE Edgardo Sogno e la guerra di Spagna. A chi servono gli orfanotrofi «Le scelte difficili di un vero liberale» Prendo lo spunto dalla rettifica di un equivoco di scarsa importanza, ma che pure ha quasi la valenza di un lapsus simbolico, per esporre la mia interpretazione della scelta che feci nel '38 di combattere contro la repubblica popolare spagnola. A fianco dell'equilibrato commento di Pier Luigi Battista (La Stampa del 20 aprile) figura senza alcuna indicazione una mia fotografia in uniforme di tenente delle SS germaniche. Quella uniforme l'ho effettivamente varie volte indossata, ma non alla guerra di Spagna, bensì in Italia come travestimento per liberare dei resistenti caduti nelle mani del nemico durante l'occupazione tedesca. E vengo alle scelte di campo nel conflitto spagnolo. Vedo contrapposte due tesi: la tesi che identifica in quella guerra il primo atto dello scontro fra fascismo e antifascismo e ne fa un'anteprima «della coalizione di forze e sentimenti che vinsero nel secondo conflitto mondiale», e quella che vede nella stessa guerra il primo atto dello scontro futuro fra Occidente e blocco sovietico facendone quindi un'anticipazione della lotta antitotalitaria nella guerra fredda. Sergio Romano ha proposto di dividere salomonicamente la guerra di Spagna in due fasi che rispettivamente corrisponderebbero alla prima alla seconda interpretazione. Senza approfondire oltre questa vecchia, ma attuale polemica e senza anticipare agli Anni 30 tutto il senno di poi della fine del secolo, ritengo di poter rivendicare la mia scelta giovanile del '37 come un'intuizione, e quella analoga del '45 come una scelta isolata, avversata e costosa, ma intellettualmente razionale. La mia intuizione degli Anni 30 fu quella di identificare il comunismo come distruttore deliberato e cosciente di un intero complesso di valori morali, storici e tradizionali in nome di un solo valore, la difesa degli oppressi, destinato a dissolversi nel naufragio finale. Su quella intuizione giovanile che per il momento non anda¬ va oltre, cadde come una valanga di sassi, l'immagine più vicina e distinta della ferocia nazista. Provocò un confronto e aprì una parentesi. Nel confronto il nazismo non si salvava né nei fini né nei mezzi, il comunismo non si salvava nei mezzi, ma nel fine lasciava intravedere una luce destinata ad impallidire ed a spegnersi con lo spegnersi di troppe altre luci. Si aprì così per me la parentesi della resistenza dell'Europa e poi dell'Italia occupata che si chiuse con il crollo del '45 quando ai miei occhi ricomparve, ormai solo e chiaro, il volto dell'altro nemico della libertà. Qualche lettore de La Stampa e de II Mulino forse ricorderà da quanto tempo io mi sia battuto contro la vulgata dominante secondo cui il comunismo sovietico e quello nazionale si possono presentare come un consapevole alleato della democrazia occidentale nella difesa della libertà in base a ciò che Annie Kriegel ha definito «il mito staliniano per eccellenza». Rivendico pertanto la mia sofferta scelta del '45 come appartenenza della prima ora all'esiguo gruppo di coloro, secondo Vittorio Strada pochi in Europa e pochissimi in Italia, che furono antifascisti e anticomunisti per il valore supremo della libertà, fonte unica e perenne di valori. A proposito di quanto abbiamo scritto con Elia e Sergio Romano nel volume pubblicato da Liberal non ho nulla né da dire, né da cliiedere a chi, come Pirani, definisce «sofisticata e complessa operazio ne ideologica» lo sforzo di rompere la catena di falsi che paralizza la coscienza storica nazionale. A Bar bara Spinelli, invece, che corretta mente denuncia e condanna passa te viltà negli schieramenti democratici, vorrei chiedere quale scelta di rottura debba compiere oggi un vero liberale di fronte allo spettacolo di inconsistenza morale, di interessato conformismo, di diserzioni e tradimenti offerto dal mon do politico e da quello intellettua le. Edgardo Sogno Lo Stato crea problemi a chi vuole adottare Voglio esporre un caso comune a molti che desiderano adottare un bambino. Una mia nipote della provincia di Roma e suo marito, non potendo avere figli, si sono rivolti a vari orfanotrofi, circa otto anni fa, per adottare un bambino. Entrambi laureati, più che benestanti, all'epoca trentaquattrenne lei e trentaseienne lui, ottime doti morali riconosciute non solo nella cittadina ove abitano, ma dagli stessi preposti alla concessione dell'adozione, dopo sei anni, con pretesti vari e ragioni inconsistenti ai fini pratici, fu loro negata la gioia di diventare genitori. Due anni fa si misero in contatto con una organizzazione che curava e favoriva l'adozione di bambini per lo più nell'Est europeo. Dopo due anni di estenuante attesa e di patemi d'animo, finalmente rice vettero il placet dell'ambasciata russa e partirono per Mosca e tornarono con due bellissimi fratelhni, uno di tre e l'altro di un anno. Non sto a descrivere la gioia che si diffuse in tutta la nostra famiglia. Poi mi è sorta spontanea una domanda: come mai con gli orfanotrofi zeppi di bambini in ambienti tristi e talvolta squallidi, in Italia bisogna fare i salti mortali, quasi sempre inutili, per adottare un bambino? La risposta mi pare ovvia: lo Stato per ogni bambino ospitato in un orfanotrofio corrisponde una consistente cifra e qjuindi non importa se si creano tantissimi infelici, basta tenere in piedi un baraccone che ci costa migliaia di mUiardi poiché l'importante è che vi siano pochi febei che traggono beneficio da questo stato di cose. Pio Quirico, Alessandria Una casa da affittare che grattacapo Ho dato in affitto un appartamento in Torino per ventotto anni. Quando ho voluto rientrarne in possesso, ho dovuto sostenere una costosa e lunga vertenza. Ho anche dovuto dare 10 milioni ai miei inquilini per contribuire alle spese di trasloco. Avevano avuto l'avvertenza di comprarsi una villa, come seconda casa. La «prima» gliela fornivo io. La signora è sempre stata «disoccupata». Aveva una parente, titolare di un negozio, che le offriva un lavoro sino al completamento del tempo utile per chiedere il sussidio di disoccupazione e poi la licenziava. E così, per anni ed anni, ha fatto la casalinga sussidiata. Non scrivo per recriminare; solo perché vorrei che tanto l'equo canone che i sussidi di disoccupazione venissero concessi con un criterio più mirato. Ed ancora: chi è in pensione, se ha una seconda casa, non dovrebbe avere agevolazioni per mantenersi anche la prima, a spese dei contribuenti: perché non si trasferisce nella «seconda» casa al mare? Non ha più impegni di lavoro che lo leghino ad un determinato luogo, e, se vuole mantenersi il lusso di due case, se lo paghi. Ugo Gallo, Torino La Sindone conferma la fede cristiana Il signor Walter Formica di Milano nega che la Sindone sia autentica perché se lo fosse «obbligherebbe» a credere. Non sarei riuscito a immaginare argomento più debole. La fede cristiana è una fede rivelata. Dio ha voluto che conoscessimo con certezza l'Incarnazione del Suo Figlio, affidandone il racconto ai quattro Ss Evangelisti. Questa è la prima prova: la piena e integrale storicità dei Vangeli, che presentano la Resurrezione come un fatto storico. Di questa certezza di fede la Sindone non è che una conferma, ma anche se non ci fosse saremmo ugualmente «obbligati» a credere dall'autorità del Rivelante. Questo al di là di tutte le polemiche sull'analisi al carbonio 14, la cui indiscutibilità mi pare peraltro contestata negli stessi ambienti scientifici. E' il sensus fidei che guida le folle a Torino. Sulla Sindone si sono fondate nei secoli grazie, indulgenze, messe speciali. Possibile che Dio abbia lasciato ingannare così a lungo il Suo popolo? Franco Damiani Venezia-Mestre Studiate sarete più liberi Ho letto con molto interesse l'articolo comparso su La Stampa del 16/5/9 "Studiate, sarete più liberi". Penso che andrebbe divulgato in tutte le scuole d'Italia (e nei luoghi di lavoro...). Dove posso trovare il testo integrale del discorso del Dott. Romiti? Dott. Francesco Gasparini f.gasparini@prometeo.it