Il bon mot? L'ha ucciso la Tv
Il bon mot? L'ha ucciso la Tv discussione. La battuta pronta non è più di moda: Talleyrand e Andreotti sono rimasti senza eredi Il bon mot? L'ha ucciso la Tv / politici preferiscono insultarsi nei talk-show c HI mai potrà reggere il confronto, nell'universo del discorso politico, con la leggenda di Talleyrand, il mitico «principe di Benevento» che portò sul trono Napoleone e poi propiziò la restaurazione, ministro di tutti, indifferente ai regimi e soprattutto inesauribile coniatore di «bon mots»? Un simile monumento al cinismo e all'eleganza è sembrato irripetibile, quasi un'opera d'arte o meglio una vita costruita dal suo stesso protagonista come un'opera d'arte basata essenzialmente sulla conversazione. Le frasi celebri di Talleyrand sono proverbiali. «Perché quella gente non dovrebbe salvare la Francia? In fondo, le oche hanno pur salvato il Campidoglio» avrebbe detto in un momento imprecisato della tormentata vita politica francese. «E' paradossale: si vuole evitare la rivoluzione, e va bene; ma bisogna stare attenti a non cadere sul versante opposto, anche perché è particolarmente sudicio» aveva chiosato quando si voleva eleggere una Camera ultrarealista nel 1815, mentre gli eventi come al solito stavano prendendo la piega da lui prevista. Ora il florilegio «originale» delle sue battute viene stampato dall'Adelphi in un libriccino da molto tempo introvabile e mai tradotto in italiano, L'album segreto, firmato da Henri de Latouche che fu giornalista, intellettuale, critico e scopritore di talenti (per esempio, di George Sand), e pubblicato per la prima volta nel 1829, con Talleyrand ancora vivo ed attivissimo nel propiziare la caduta di Carlo X, sovrano impopolare. Fra l'altro, al monarca che gli diceva tromboneggiando: «Un re minacciato non ha altra scelta che il trono o il patibo lo», l'astuto uomo politico rispon deva, immaginiamo con mi volto assai compunto, «Sire, Vostra Maestà dimentica la carrozza». L'album perduto non può che es sere stato se non approvato almeno accettato dal suo protagonista: la tentazione di considerarlo un piccolo, segreto monumento eretto indirettamente - a se stesso, con un gusto del «diabolico» e del luciferino, è talmente fòrte che non si può non leggerlo pensando che è rimasto per più d'un secolo un modello. Cui altri si sono ispirati: in Italia certo Giulio Andreotti, ultimo virtuoso del «bon mot» politico. Andreotti ha avuto persino più fortuna di Talleyrand: il suo universalmente citato «il potere logora chi non ce l'ha» è finito persino oltreoceano in un film della serie del Padrino; viene pronunciato nel corso di uno strangolamento tra gangsters. Assicurano gli esperti che Andreotti sostiene di aver «rubato» la frase alla Comédie Francese: e così si chiude l'anello, si toma in zona Talleyrand. Detto questo, dietro il «bonmottista» principe ci sono altri ottimi esempi nella nostra Prima Repubblica, spesso di parte democristiana. Gli esegeti ricordano un celebre: «I socialisti sembrano ladri e invece lo sono» di Mino Martinazzoli, un feroce «Così come abbiamo difeso Gava difenderemo De Mita» di Arnaldo Forlani (Gava non venne mai difeso, va da sé) e le recenti critiche del presidente Scalfaro al Giubileo, capolavori di spietato «bon ton». Ma proprio questo succinto elenco ci dice che, forse, è davvero cambiato qualcosa. La «bonmottistica» è diventata improvvisamente obsoleta, i politici preferiscono darsi pubblicamente del mascalzone esattamente come i «noi mali» cittadini vanno in sollucchero all'idea di scambiarsi reciproche e famigliari contumelie nfii più popolari spettacoli televisivi. Dalla trama del linguaggio viene fuori più «istinto»; è un progresso, magari una fase di passaggio, o un regresso? Giriamo la domanda a uno studioso come Cesare Garboli, che la Francia, dalla Comédie a Chateaubriand, e soprattutto nel nome di Molière, ha frequentato moltissimo. Ci risponde aprendo il Leopardi del «Discorso sopra lo stato presente del costume degli italiani», quello dove il poeta di Reca- nati riflette sul «buon tuono» francese, che spinge a «evitare una mala azione come una brutta reverenza, e il vizio come il cattivo tuono» e che diventa perciò «l'unico fondamento che resta ai buoni costumi» quando «lo stato dei costumi e delle nazioni quanto alla morale è ridotto a questa precisa miseria». Leopardi diffidava insomma del «buon tuono», anche se ammetteva che nella società dove non esiste «quivi la morale manca d'ogni fondamento e la società d'ogni vincolo fuor della forza». E' una prefigurazione dell'oggi? Via, non esageriamo. Garboli stesso un po' sdrammatizza: «Il gusto della conversazione è archeologia. E poi in Italia non c'è mai stato. E se venisse riproposto oggi sarebbe stucchevole». E un po' lascia che il dito rimanga nella piaga: «La diagnosi di Leopardi? La faccio mia. L'idea che il "buon tuono" è l'ultimo fondamento che resta ai buoni costumi quando c'è un crollo della morale è certamente vera». E' un argine, ma improponibile. E' una difesa, ma già inutile. Il modello Talleyrand ha avuto la sua ultima incarnazione in Andreotti, che «ha alle spalle non la società francese ma la Chiesa cattolica, equivalente per cinismo». L'album perduto di Talleyrand ricompare per annunciare una svolta linguistica che si è irrimediabilmente consumata. Ora è «perduto» davvero. Mario Baudino Adelphi ristampa «L'album segreto» del «principe di Benevento» sfavillante di arguzie dal cinismo elegante Garboli: «Il gusto della conversazione è archeologia. E poi in Italia non c'è mai stato. E se venisse riproposto oggi sarebbe stucchevole» A destra Charles Maurice di Talleyrand, il plenipotenziario francese celebre per le sue battute di spirito. A centro pagina un momento del Congresso di Vienna che lo vide tra i protagonisti In basso il critico Cesare Garboli
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