GRASS - Io, patriota senza patria di Alberto Papuzzi

GRASS - Io, patriota senza patria L'INTERVISTA. Lo scrittore parla di «E' una lunga storia», il nuovo romanzo che ha diviso la Germania GRASS - Io, patriota senza patria LUBECCA DAL NOSTRO INVIATO Nel centro storico della città cara a Thomas- Mann, che vi era nato e che vi ambientò i Buddenbroók, si prende una silenziosa strada pedonale, lasciandosi alle spalle le architetture teatrali dell'antico municipio, ci si ferma davanti a un portone verde, si suona il campanello sotto la semplice targhetta Gunter Grass. Sékretariat, si sale un piano, e si entra in una larga e bianca stanza con bassi soffitti e travi a nudo, dominata dalla figura ancora corpulenta, dallo sguardo di tigre, dai baffi a spazzola, dalla pipa odorosa, dalla risata fragorosa, del massimo scrittore tedesco vivente, settant'anni, otto figli, che riceve dalle mani di Enrico Gannì, editor della Einaudi, una copia fresca di stampa del suo ultimo romanzo nell'edizione italiana: E' una lunga storia, scritto in rosso sulla copertina bianca anch'essa, secondo la tradizione d'una casa editrice la cui grafica è stata fissata da Albe Steiner e Bruno Munari. Gunter Grass gira il libro, 658 pagine, fra le grosse mani e quasi lo soppesa, lo apre alla prima pagina, legge qualche riga del primo capitolo dedicato ai «picchi muraioli», come venivano chiamati nel 1989 i ragazzi che procedevano alla demolizione del Muro, mentre l'editor einaudiano attende col fiato sospeso, quindi si ferma a guardare meditabondo quella copertina totalmente bianca, forse pensa che è adatta a una storia che sconfina nel passato, con i rimandi alle opere dello scrittore classico Theodor Fontane, e che interroga il futuro dell'unificazione tedesca. 0 forse ripensa alle stroncature che, nel 1995, all'Ovest, accompagnarono l'uscita del romanzo, quando lo Spiegai mise in copertina la fotografia del critico Marcel Reich-Ranicki che stracciava il libro. Oppure sta ricordando compiaciuto il successo che l'opera ha riscosso nella ex Ddr. In ogni caso, Grass sorride, dice schón, e si concede all'intervista. Il romanzo ripropone, nei personaggi di Fonty, fattorino dell'Archivio Fontane, e di Hoft allei-, l'ex spia della Stasi che lo controlla, una visione scettica dell'unificazione tedesca, ma poi irrompe Madeleine, studentessa francese di germanistica, che sembra simboleggiare la riscoperta d'una patria comune per i tedeschi. Questa evoluzione rispecchia anche un suo percorso, da «senza patria», come si di- chiaro nel 1990, verso un bisogno d'identità nazionale? «La sua domanda parte dal presupposto che l'autore si identifichi con Fonty. Ma ciò non è vero. Io mi identifico con tutti i personaggi, anche con Hoftaller. Quanto al rapporto tra Fonty e Madeleine, lui è scettico sugli sviluppi dell'unificazione, lei è divertita del fatto che il nonno dubiti che possa esserci ancora la nazione tedesca». . Ma quando Fonty, la moglie, Hoftaller e Madeleine si ritrovano nella notte in cui si festeggia la caduta del Muro, i loro diversi atteggiamenti non hanno un significato simbolico? «No. Hanno una funzione puramente narrativa. In questo modo distruggono ogni significato simbolico che si è voluto dare a quella festa davanti al Reichst.ag nel dicembre del 1989. E alla fine della festa resta solo una luna piena». A proposito di Madeleine, ricordando che lei da giovane ha vissuto a lungo in Francia, questo personaggio ha qualche significato per ciò che concerne i rapporti attuali tra Francia e Germania? «(Aver vissuto quattro anni in Fran eia, quando scrissi II tamburo di latta, mi ha aiutato molto a descri vere il Paese, però Madeleine ha piuttosto a che fare con le origini francesi e ugonotte di Fontane. Ho voluto far vedere che l'immigrazio ne ugonotta è stata un arricchimento per la cultura tedesca. Volevo anche smentire il cliché della Francia come libertà e della Prus sia come non-libertà. Nel caso degli ugonotti il rapporto è capovolto: i francesi li cacciano con una guerra sanguinosa, i prussiani li accolgono con un editto di tolleranza». Il romanzo è costruito, attraverso i rimandi a Theodor Fontane, su un insistito parallelismo tra la Germania di Bismarck e quella di Kohl. Que sto significa che dobbiamo temere una riedizione della Germania gugUelmina? «Come un pericolo latente, dobbia mo prenderlo sul serio. Già il fatto che si sposti la capitale da Borni a pinge la Germania opulenta come «una fortezza contro zingari, neri, ebrei, musulmani)). Questi temi fanno parte del suo romanzo? «Sì, attraverso la rievocazione dell'immigrazione ugonotta. Ho voluto ricordare che ciò che chiamiamo cultura europea è un complesso sistema di rapporti con altre e diverse culture. Il pericolo di diventare una chiusa fortezza riguarda anche Francia e Italia. Si tratta di capire, anche alla luce dell'Europa monetaria, che bisogna abbandonare la concezione eurocentrica». In una raccolta dei suoi scritti politici, pubblicata l'anno scorso, «Der Autor als fragwurdiger Zeuge», che si potrebbe tradurre ((L'autore come testimone ambiguo», riemerge il rapporto fra politica e letteratura, fra potere ed estetica: continua a difendere lo scrittore engagé? «Io non voglio dettare regole. Non tocca a me stabilire che lo scrittore deve essere impegnato. Però come scrittore mi occupo di realtà e problemi condizionati dalla politica. Inoltre se come scrittore tratto questioni estetiche, come citoyen sono interessato ai conflitti politici e in questo senso sono engagé». Ma fra Christa Wolff, che si è spesa per una causa politica, anche come scrittrice, e Umberto Eco, secondo il quale se la casa brucia lo scrittore può solo telefonare ai pompieri, lei da che parte sta? «Quando esisteva ancora la Ddr, ho litigato spesso con Christa Wolff, non perché la considerassi una specie di nemica, ma perché eravamo avversari politici. Dopo la caduta del Muro lei è stata oggetto di una caccia alle streghe: allora io l'ho difesa e continuo a difenderla. Per quel che riguarda Umberto Eco, non credo che possa essere ridotto alla sua citazione. Se guardo l'Italia non sento voci di intellettuali che si ribellano, come una volta. Gli impegnati sono molto pochi e proprio Eco mi sembra uno di quelli capaci di dare l'allarme prima che la casa vada a fuoco». Ma c'è qualcosa che lei rimprovera agli scrittori tedeschi delle nuove generazioni? «Ovviamente è soprattutto una certa generazione che anche oggi alza la voce. Gli scrittori giovani si orientano al mercato, esprimono opinioni che sono ispirate al marketing criticism. Questo è il rimprovero che io muovo alle nuove generazioni sia in Germania sia in Italia». E che cosa risponde ai critici feroci del suo romanzo? «Che dovrebbero leggere di più. Dovrebbero leggere il libro originale». Ritiene che talune critiche nascondessero un pregiudizio politico? «Quando il libro è apparso c'è stata una specie di liaison fra lo Spiegel e la Frankfurter. Ci sono abituato: fin dai tempi del Tamburo di latta, i miei libri sono sempre stati oggetto di accese polemiche». In dicembre lei ha firmato un appello, insieme a intellettuali come Volker Schlòndorff, il regista del ((Tamburo», in favore della campagna elettorale della Spd. Si può pensare a un suo ritorno all'attività politica, nello spirito con cui negli Anni Cinquanta lei si batteva per Willy Brandt? ((Allora c'era un clima di rinnovamento, a cui appartenevano Brandt in Germania, Krausky hi Austria, Palme hi Svezia, personaggi straordinari, con alle spalle l'esperienza della guerra che riuscivano a trasmettere alla gente. Oggi i leader sono normali, più noiosi, ma va benissimo perché da loro non dobbiamo aspettarci nulla di speciale. E' meraviglioso che siano così normali. In ogni caso ho deciso di impegnarmi, partecipando a quattro o cinque manifestazioni». Lei nutre preoccupazioni per la destra neonazista? «Per me il pericolo più grave consiste nel fatto che i democristiani hanno su alcuni problemi posizioni non dissimili da quelle della destra. Sulle questioni dell'immigrazione la leadership è loro, la destra gli fa da eco». Lei si sente sempre un «vaterlandslos», un senza patria? «Vorrei precisare che questa definizione risale ai tempi dell'impero guglielmino: così vemvano chiamati i socialdemocratici. In realtà io sono molto legato alla lingua tedesca, alla storia tedesca, alla cultura tedesca. Potrei core che sono un patriota. Ma patriota della costituzione». Alberto Papuzzi Nell'opera, stroncata a Ovest, l'unificazione tedesca è vista da una scettica spia «Sono molto legato a questo mio Paese ma stiamo tornando a uno Stato prussiano» i o a i i a o «ama«ltcssuFatacc