Delfino, guerra fra le procure

Delfino, guerra fra le procure L'inchiesta affidata a Roma, il pm Tarquini di Brescia cerca la rivincita con un ricorso in Cassazione Delfino, guerra fra le procure Al generale concessigli arresti domiciliari BRESCIA. Bye, bye, Brescia. Il generale ha vinto la sua prima battaglia. La più importante: da ieri non è più detenuto nel carcere militare di Peschiera del Garda e soprattutto non è più un indagato della procura di Brescia. D'ora in poi ad occuparsi di Francesco Delfino e del miliardo estorto ai Soflìantini sarà la procura di Roma, già competente per il sequestro di Giuseppe Soffiantini. Mentre il generale trascorrerà il resto della detenzione preventiva nella sua bella villa di Meina sul Lago Maggiore, la stessa casa usata come alibi per giustificare la richiesta di denaro all'imprenditore Giordano Alghisi («Dovevo vendergliela...»). Così ha deciso ieri il tribunale del riesame di Brescia presieduto dal giudice Roberto Palimi che con una sentenza di 40 pagine ha dato partita vinta al generale accusato di concussione e ai suoi difensori, gli avvocati Raffaele Della Valle e Pierfrancesco Bruno. Che adesso esultano: «Soprattutto siamo soddisfatti - ha detto Della Valle perché è stato accolto il nostro punto di vista sulla competenza territoriale. Le accuse mosse a Delfino vanno infatti considerate come un reato "satellite" del reato contestato agli autori del sequestro Soffiantini che, come sapete, saranno giudicati dai magistrati romani perché nel territorio di loro competenza si è svolto il reato più grave compiuto in questa vicenda, cioè l'omicidio dell'ispettore dei Nocs, Samuele Donatoli». Non è il «grave quadro indiziario» contestato a Delfino a essere messo dunque in discussione. Su questo i giudici del tribunale non hanno avuto dubbi e gli stessi legali non avevano sollevato eccezioni. Piuttosto, osservano i magistrati, il reato attribuito a Delfino è da mettere in connessione al sequestro Soffiantini, senza il quale il generale non avrebbe avuto «materia» per chiedere e ottenere, tramite Alghisi, quel miliardo in contanti uscito dalla soffitta dei Soffiantini. E dunque, «non possono esservi dubbi che la competenza a giudicare» spetti alla corte d'assise di Roma. Secondo i pm, che si erano strenuamente opposti sia alla concessione degli arresti domiciliari che al trasferimento dell'inchiesta a Roma, invece tra i due reati non esisteva «alcun rapporto di occasionali tà rilevante». E per questo adesso la procura si prepara a un'ardua rivincita, annunciando ricorso in Cassazione. Ma il tribunale è categorico: «Nessuna delle argomentazioni del pm pare cogliere nel segno...». Esclusa la pos¬ sibilità di inquinamento delle prove («sigillate» con l'incidente probatorio della settimana scorsa) i giudici inoltre hanno ritenuto che non esistono più per Delfino i presupposti di una reiterazione del reato: «Appare estremamente arduo ipotizzare che il Delfino, il cui destino processuale è stato ampiamente pubblicizzato dai mass-media, possa, anche se solo ristretto agli arresti domiciliari, ripetere condotte analoghe... invero non solo i collegamenti con la malavita gli sarebbero in tale stato sostanzialmente inibiti, ma anche la sua "reputazione", sia presso appartenenti al mondo del crimine, sia presso terzi che di quel mondo siano vittime, rimarrebbe gravemente compromessa». Il tribunale ha poi preso atto delle condizioni di salute del generale «gravemente sofferente di plurime patologie»: «Orbene - è scritto nella sentenza - secondo i canoni della comune esperienza, in un soggetto malato gli impulsi a delinquere tendono ad attenuarsi». Infine gli arresti domiciliari nella villa di Meina, vengono spiegati con la necessità di tenere lontano dal suo ambiente (ovvero la caserma della scuola carabinieri di Roma) Delfino. «Provo sorpresa e amarezza - commenta il procuratore Giancarlo Tarquini -. Uno sconforto che comunque non ci impedirà di andare avanti». Il procuratore spiega che ora potranno essere seguite due strade: o la trasmissione immediata degli atti ai colleghi romani che dovrebbero chiedere nuovamente la misura cautelare al gip di Roma nei confronti di Delfino; oppure, secondo una diversa interpretazione della norma, trattenere gli atti fino a un'eventuale richiesta di rinvio a giudizio. A quel punto spetterebbe al gip di Brescia giudicare sulla competenza. Paolo Colonnello Trascorrerà il resto della detenzione nella sua villa di Meina sul Lago Maggiore Accanto, il generale dei carabinieri Delfino, agli arresti domiciliari a Meina. A destra, Giordano Alghisi