« Così ho ucciso 17 volte »

« Così ho ucciso 17 volte » Genova: nel racconto di Bilancia la tecnica dei delitti, le urla delle vittime e i loro tentativi di fuga « Così ho ucciso 17 volte » Dai verbali gli orrori del serial killer GENOVA. E' «addolorato» solo per la moglie di Maurizio Parenti, uccisa con il marito il 24 ottobre nell'appartamento di piazza Cavour. Aggiunge che gli spiace «anche per i genitori delle persone». In undici ore di interrogatorio, il 14 e il 15 maggio, Donato Bilancia ha raccontato al sostituto procuratore Enrico Zucca, il magistrato scelto all'improvviso come «confessore» dopo una settimana di silenzio, la successione e i particolari di diciassette omicidi. Una scia di sangue fermata solo dall'arresto, la mattina del 6 maggio scorso. «Ci sarebbe stato sicuramente un seguito nel mio programma» rivela il serial killer, indicando gli obiettivi che avrebbe scelto: i conduttori di bische, ma questa volta «quelli in alto». Come in un racconto dell'orrore, Bilancia descrive violenze e uccisioni, le grida delle vittime, i tentativi di fuga. E' stato il pm Enrico Zucca, ie¬ ri mattina, a decidere di togliere la secretazione ai verbali dell'interrogatorio-confessione. Una scelta motivata dalla fuga di notizie dei giorni scorsi, che aveva provocato l'amaro commento del magistrato: «Siamo proprio in un Paese di Pulcinella». Sul fronte giudiziario, sono iniziati ieri in carcere i colloqui di Bilancia con i due consulenti psichiatrici nominati dal suo difensore, l'avvocato Enrico Franchini. Si tratta dei professori Umberto Gatti e Battista Traverso, che già si sono occupati dei serial killer Luigi Chiatti e Gianfranco Stevanin. E proprio dalle celle di Marassi ieri il maggiore dei carabinieri Filippo Ricciarelli, uno dei protagonisti dell'arresto di Bilancia, ha ricevuto una cartolina. E' di un detenuto. Scrive: «Volevo molto bene a Carla e Maurizio (gli sposina uccisi, ndr). Ha, anzi, avete reso loro giustizia. Grazie». Come na commesso il primo omicidio? «Centenaro Giorgio l'ho seguito alla sua abitazione dopo aver preso i1 numero della sua targa per vedere ve andava. Era una Punto blu, se ricordo. La sua abitazione si trovava in una strada dietro le piscine della Sciorba. Una sera l'ho aspettato quando stava per rientrare a casa, l'ho accompagnato su. Lui stava all'ultimo piano, in una mansardina. Avevo la pistola, cioè quella che mi è stata sequestrata, ma non l'ho usata perchè l'ambiente era piccolo e temevo di fare troppo rumore. L'ho soffocato con il nastro adesivo che avevo portato con me. Come ho detto lo volevo ammazzare. Non c'erano altri scopi nella mia visita. C'erano 500.000 lire su un tavolo che io non ho nemmeno preso. Appena entrati c'è una saletta, l'ho lasciato lungo davanti alla porta, a pancia in giù, con le mani lungo la schiena e con i palmi rivolti verso l'alto, il viso rivolto alla porta. Volevo che si sapesse che era stato ammazzato». L'episodio successivo? «E' stato quello di Parenti e di sua moglie. Lui era sempre scortato. Da qualche sera lo aspettavo nei pressi della sua abitazione. Ha parcheggiato la macchina in un garage a circa cento metri dall'abitazione, erano circa le tre e mezza-quattro. Ho aspettato che andasse via la sua scorta, poi l'ho avvicinato nel portone. Avevo un sacchetto di plastica in mano in cui avevo messo del nastro adesivo da pacchi e gli ho detto, mostrando il sacchetto, che dovevo fargli vedere delle cose. Siamo entrati nel portoncino del suo palazzo; appena chiuso gli ho ountato la pistola e l'ho ammanettato. Lui aveva in mano la focaccia e il giornale che aveva appena comprato. Gli ho anche messo un giro di nastro adesivo come bavaglio e gli ho detto di non reagire perchè alcuni miei compari erano già nella sua abitazione che tenevano a bada sua moglie. Siamo saliti in ascensore; giunti davanti alla porta dell'abitazione gli ho sfilato le chiavi che, se ben ricordo, erano nella tasca del giubbotto. La serratura era ad una chiave solo, del tipo a mappa corta con l'impugnatura nera. Entrato in casa, a sinistra c'era la camera da letto dove sua moglie dormiva. Siamo entrati in cucina, gli ho chiesto di darmi del denaro e lui mi ha detto che era in cassaforte e che si trovava al piano di sopra dell' appar tamento. Nel frattempo è arrivata la moglie e sotto la minaccia dell'arma mi sono fatto precedere da loro due fino alla stanza di sopra, dove era la cassaforte. Mi sono fatto indicare la combinazione, li ho fatti sedere sul divano, ho aperto la cassaforte, ho prelevato una scatoletta. Poi siamo scesi giù in camera da letto. Gli ho detto cosa pensavo di lui, l'ho anche colpito alla mascella con la pistola Poi ho sparato un colpo in testa a lui con il copriletto o con il lenzuolo. A lei ho sparato nel petto: l'avevo lega ta gambe e braccia con il nastro...». Vuole proseguire? «Il successivo episodio è quello di Ventimiglia, dove ho ammazzato un cambiavalute (Luciano Marro, ndr). Avevo studiato il posto; di fronte c'è un giardinetto a mezzaluna. Ho osservato il comportamento del cambiavalute per alcune sere. Non era facile aggredirlo». L'episodio successivo? «Si è trattato del metronotte di corso Armellini a Genova (Giangiorgio Carni, ndr.). Per me è stato l'obiettivo più facile. Ho studiato per alcune sere i suoi movimenti durante i suoi giri di ispezione. Mi sono fatto le chiavi del portone; per me questo è un gioco da ragazzi». Proseguiamo? «Dopo l'omicidio del metronotte ho commesso un altro omicidio ai danni di una prostituta che avevo fatto salire in macchina prelevandola a Genova, in zona Foce (Stela Truya, ndr.)». L'episodio successivo? «Si è trattato sempre di una prostituta (Lyudmyla Zubkova, ndr). Questa volta l'avevo prelevata nel rettilineo di Albenga, con la solita offerta di un milione. L'ho portata in un posto dietro un ospedale, una località che avevo scelto e perlustrato prima... ho fatto scendere la donna, l'ho fatta girare e pochi passi dopo le ho sparato un colpo alla testa». Vuole proseguire? «In seguito c'è stato il delitto di un altro cambiavalute, questa volta a Latte di Ventimiglia (Enzo Gorni, ndr). Anche qui, quando ho studiato l'obiettivo, dovevo fare attenzione al fatto che il blindato fosse aperto..». «Il delitto successivo l'ho commesso in località Barbellotta (i due metronotte Candido Randò e Massimiliano Gualillo). Anche qui avevo visto, la sera stessa del delitto, il posto dove avevo deciso di recarmi. Avevo infatti notato il cancello della villa chiuso e, vedendo la scatoletta del dispositivo automatico, mi ero accorto che il congegno era disattivato. Ho aperto il cancello con le mani e ho fatto un giro di perlustrazione come indico in questo schizzo. Ho percorso un viale che conduceva alla villa in ristrutturazione; in fondo c'era uno spiazzo con materiale edile. Ho fatto il giro di questo spiazzo, sono passato davanti a una casa, forse la dependance della villa, che ho notato essere chiusa e sono uscito. Ho quindi fatto salire in macchina un transessuale (il viado Julio Castro detto Lorena, ndr) che era per strada e l'ho portato in quel posto. Quando siamo giunti al cancello, ho fatto finta di aprire, essendo in possesso di un telecomando che mi serviva per aprire la sbarra di accesso a un magazzino nella mia disponibilità. Ho percorso il viale e ho fatto il giro come prima. Ho parcheggiato la Mercedes vicino a un albero, con la portiera del lato passeggero che non avrebbe potuto aprirsi, in modo tale da impedire la discesa al passeggero. La parte anteriore della macchina era, pertanto, in direzione dell'uscita dal cancello. Avevo la pistola con me nel cappotto; non à vero, come avrebbe dichiarato il transessuale, che ce l'avevo in macchina e che lui, pertanto, abbia potuto vederla. Ho chiesto un rapporto al transessuale ma a un certo punto sono entrate lungo il viale le due macchine dei metronotte. Una si è posizionata a pochi metri dalla mia auto ma al centro del viale stesso, l'altra a breve distanza nel piazzale. Mi hanno detto che era proprietà privata. Io ho detto che ero il proprietario ma sono stato smentito dal transessuale, che anzi diceva che stava subendo violenza da me. Io ho cercato in qualche modo di chiarire che c'era un equivoco e che ce ne saremmo andati. Uno dei due, allora, ha detto che chiamava la centrale. Io nel frattempo ero sceso dall'auto e ho sparato un colpo a quello dei due che era in piedi e due colpi a quello che era rimasto in macchina. Intanto anche il transessuale era sceso ed era scappato a nascondersi dietro un cespuglio. Io l'ho rincorso e gli ho sparato due colpi. Poi sentivo dei lamenti provenire dai metronotte feriti, avevo ancora cinque colpi in tasca. Sono andato verso la mia macchina, dove ho lasciato i bossoli sul tappetino lato guida e ho messo gli altri cinque colpi nel caricatore. Poi ho sparato ancora un colpo a ciascuno dei metronotte. Ho notato che quello che era in macchina si era accasciato. H transessuale si era ancora spostato dietro un altro cespuglio, ha poi avuto una reazione che mi ha sorpreso e quindi gli ho sparato altri tre colpi, che però non l'hanno preso. Mi è sal¬ tato addosso, c'è stata una colluttazione nel corso della quale l'ho anche colpito alla testa con il calcio della pistola. Poi sono andato verso la Panda del metronotte che ho spostato facendo attenzione a non lasciare impronte, in modo tale da poter passare con la mia auto, e me ne sono andato via». Poi? «Quello della nigeriana (Evelyn Tessi Edoghaye, ndr). Ho prelevato la ragazza che si prostituiva alla Foce, dalla parte opposta all'Ari; le ho fatto la solita offerta di un milione per un rapporto a casa... Ho portato la donna in una piazzola a Cogoleto, luogo che avevo in precedenza visto e studiato come possibile da utilizzare per un delitto... Ho fatto scendere la ragazza dal lato guida. L'ho trascinata fuori con forza e lei ha reagito. E' partito il primo colpo, lei si è accasciata e l'ho colpita con altri due colpi alla testa». Vuole proseguire ancora nella successione dei fatti? «Sì. Ho preso a Genova il treno Pendolino in direzione Venezia. C'era una donna nello scompartimento di prima classe (Elisabetta Zoppetti, ndr). Non la conoscevo. Ho aspettato che fosse in bagno e ho visto che aveva portato la borsa con sé. Ho aperto con una normale chiave quadra. La donna s'è messa a urlare. Le ho messo sulla testa la giacca che aveva appoggiato lì vicino, e le ho sparato. Ho ripreso la borsa e l'ho messa nello scompartimento, prelevando solo il biglietto del treno di cui io ero sprovvisto e avevo visto spuntare dalla borsetta. Il fatto è avvenuto tra Serravalle e Tortona. Sono sceso a Voghera, la prima fermata, ma avevo pensato che il treno fermasse dopo Tortona. Lo scomparti mento del treno era vuoto. C'era for se qualcuno nell'altra metà della carrozza. Io ero in piedi nel fondo del corridoio del vagone vicino al bagno». Può chiarire, sia pur con le riserve che ha già fatto, il perché della scelta di quella vittima e se ha prestato attenzione sessuale verso di lei? «Sono salito sul treno con l'intenzione di uccidere. La vittima doveva essere ima donna, anche se non l'ho neanche toccata dal punto di vista sessuale. Faceva parte del programma che è scattato in me dopo i delitti Parenti-Centenaro, ma non so dire di più». Ha commesso anche l'altro delitto del treno? «Sì. Si è trattato di un episodio uguale. Questa volta rapidissimo. Sono salito a Sanremo e sceso a Bordighera. Nell'ultimo scompartiamento della prima carrozza c'era del personale delle Ferrovie. Io invece ero nel corridoio della seconda carrozza; una donna (Maria Angela Rubino, ndr) a un certo punto è entrata nel bagno che si trovava poco distante da dove ero posizionato. Dopo qualche minuto sono entrato con la solita chiave. Ho aperto la porta, ho preso una giacca che era appesa e apparteneva alla donna, gliela ho messa in testa, ho sparato e mi sono chiuso dentro. In questa occasione mi sono masturbato. Ricordo che indossava un indumento di colore scuro». Come è andato via? «Sono sceso dal treno a Bordighera, ma ho utilizzato la porta sbagliata che dà sul binario. Questa manovra ha azionato un dispositivo sonoro che ha richiamato l'attenzione dei ferrovieri che erano nella prima carrozza. Mi hanno chiesto dove andavo e io, che avevo già raggiunto l'altro marciapiede, ho risposto che non ero io ad essere sceso dal treno ma che si trattava di un'altra persona che si era allontanata. Ho preso quindi un taxi alla stazione. Ho usato la precauzione di aprire la porta con le nocche delle dita. Ho chiesto al tassista se mi portava a Sanremo, ho alterato la voce; poi gli ho chiesto di portarmi a Savona. Lui mi ha detto che mi avrebbe portato solo a Sanremo. Mi ha fatto scendere di fronte alla stazione. A Sanremo avevo una macchina, credo il Mercedes. Non ho fatto un prelievo bancomat a Sanremo». Ci sono indizi a suo carico anche per la commissione del delitto ai danni di una prostituta, sempre a Pietra Ligure. «Sì è vero. Si è trattato di un delitto commesso con le stesse modalità che ho più volte usato». Ci sono altri delitti? «Sì, l'ultimo che ho commesso ai danni di un benzinaio di una stazione di servizio ad Arma di Taggia. Avevo la Mercedes; sono arrivato alla stazione, ho fatto il pieno e ho chiesto al benzinaio un chilo d'olio, proprio per farlo entrare nel gabbiotto, dove poi l'ho ucciso». Alessandra Pieracci Fabio Pozzo LA COPPIA A GENOVA «Lui aveva tradito quella che ritenevo un'amicizia. Il mio sconvolgimento è cominciato così. Gli ho sparato e poi ho dovuto uccidere la moglie innocente» I DUE METRONOTTE «Mi avevano sorpreso con il transessuale e volevano chiamare la centrale. Li ho ammazzati, poi ho tirato 5 colpi contro il viado centrandolo soltanto due volte» IE DONNE IN TRENO «I due episodi sono uguali: sono salito con l'intenzione di uccidere. Quando le vittime prescelte sono entrate in bagno ho aperto la porta con una mia chiave e agito rapidamente» A lato, Donato Bilancia, il serial killer e nella foto grande mentre viene portato in carcere