La Albrìght licenzia Sanarlo di Giuseppe Zaccaria
La Albrìght licenzia Sanarlo Le dimissioni richieste anche dal suo partito, i soldati impediscono la marcia di protesta La Albrìght licenzia Sanarlo // vuoto attorno al dittatore indonesiano GIAKARTA DAL NOSTRO INVIATO Suharto, vattene: in una capitale desertificata dalle armi continuano a levarsi appelli che creano deserto politico intorno al dittatore. Il bagno di sangue che tutti temevano non c'è stato. Trentamila soldati, un numero incalcolabile di carri schierati come una forza d'occupazione hanno fisicamente impedito ogni corteo ma la rivolta contro il regime prosegue ed anzi raggiunge i santuari ed i simboli del potere. Suharto, dimettiti: torna a chiederlo lo speaker del Parlamento, lo fa perfino il segretario del «Golkar», il partito-Stato che del dittatore rappresentava finora una semplice emanazione. Soprattutto lo chiede da Washington Madeleine Albrìght, segretario di Stato americano. Anche il grande alleato scarica il Grande Padre, sul destino del più antico e modernamente cinico fra i dittatori d'Oriente ci sono pochi dubbi. Se ne andrà: ma quando? La questione è soltanto questa ma è il punto su cui potrebbero giocarsi migliaia di vite, oltre che migliaia di miliardi. Anche l'ex protettore americano s'interroga, assume iniziative contraddittorie. Una parte della flotta del Pacifico è appena al di fuori delle acque territoriali indonesiane, 2 mila «marines» sono pronti ad intervenire per assicurare la partenza di cittadini statunitensi. Nello stesso momento il Dipartimento di Stato mostra di apprezzare le aperture di Suharto, il progetto di mia transizione «morbida». Ma se i tempi dovessero dilatarsi anche gli investimenti occidentali, prestiti della Banca Mondiale, le prospettive economiche finirebbero col liquefarsi. La quotazio ne della rupia è stata nuova mente sospesa, l'economia indonesiana rischia di liquefarsi. Gh spazi per un mutamento pilotato si sono fatti strettissi mi. Se l'immagine può valere, stretti come le distanze millimetriche che adesso, a Giakarta, sui prati un tempo sconfinati dell'Assemblea Nazionale separano uno dall'altro ventimila corpi, il caotico ammasso di studenti che grida alla (muova Tienanmen» sperando che la similitudine non si estenda fino all'epilogo. Sono tutti qui gli studenti che sono riusciti ad attraversare Giakarta, quella massa ieri significativa oggi si è fatta impressionante. «Marines» dai visi sporcati di nero, come stessero partendo per una missione suicida, cercano di frenare altri arrivi. Gh stessi ragazzi dei «campus» formano un cordone interno, perché lo spazio si è esaurito. «Resteremo qui dentro finché Suharto non se ne andrà», dicono tutti. C'è chi canta, chi mangia, chi fa rullare tamburi, chi stende teli per la notte. Il prato è marcio di pioggia, a tratti scrosci pesanti fanno scappare tutti verso le scale di marmo dell'Assemblea. Si discute per gruppi multicolori, le giacchette gialle degli studenti d'ingegneria separate da quelle blu dell'università di Trisakti, dalle verdi dei futuri medici. Ogni tanto al comizio di un giovane leader seguono applausi, qualche grido di «Allah u Ahkbar». I leaders di un'opposizione ancora in cerca di se stessa hanno capito una cosa: se vogliono essere visibili devono essere qua. Lo speaker del Parlamento, Harmoko, e perfino il capogruppo del «Gokar», Irsyad Sudiro, scendono fra i ragazzi per annunciare il loro ultimatum. «Suharto deve dimettersi entro venerdì, o la procedura per il suo "impeachment" s'inizierà lunedì in Parlamento». Una procedura che richiederebbe almeno tre mesi, ammesso che i rapporti di forza la rendano possibile. Appena tre giorni fa, ad un analogo invito di Harmoko il dittatore aveva risposto con un discorso alla nazione che diceva: «Adesso non me ne vado». Subito dopo il comandante dell'esercito aveva definito «illegale» il tentativo di deposizione. Non si vede perché adesso le cose debbano cambiare anche se r«dnvito» americano e un'indiscrezione del ministro dell'Ambiente adesso alimentano voci di dimissioni imminenti. Amid Rais, l'uomo che monopolizzando l'opposizione musulmana, continua ad attaccare: «Suharto nega i diritti del popolo - dice - fa del terrorismo, tiene la capitale sotto assedio. Io stesso stamani ho invitato tutti a restare a casa, avevo saputo di generali pronti a ordinare il mas- sacro». La protesta, continua «dottor Amid», adesso deve esprimersi «in modi più intelligenti». Il suo, lo è senz'altro: in poche settimane questo spettrale docente di scienze politiche ha conquistato un posto nel proscenio e adesso si candida ad un ruolo di primo piano nella ricostruzione politica. Quest'uomo è un politico estremamente moderno: laureato alla «Notre Dame Univer¬ sity» di Washington, specializzato a Chigago, conosce i tempi della politica, riesce a sintonizzarsi benissimo su quelli dei «media». Il suo è il secondo partito musulmano del Paese ma rappresenta le forze più vive, e voraci: i ceti urbani, la piccola borghesia d'affari, un movimento che ha cominciato la marcia di avvicinamento al potere con strumenti moderni. In passato, mentre l'altro grande movimento islamico taceva, il «dottor Amid» interveniva per criticare scelte precise, denunciava senza timori quella concessione mineraria, gli interessi di questo o quell'esponente di regime. Adesso, sembra in grado di accelerare o frenare la protesta con l'ascendente di un vero leader: se Suharto non lascerà presto il potere, sarà lui a conquistare il ruolo di antagonista. Giuseppe Zaccaria Lo speaker del Parlamento lancia un ultimatum «Ti diamo tempo fino a venerdì» Duemila marines e unità Usa in zona per una eventuale fuga degli americani ^°'^at' fraternizzano con gli studenti al palazzo del Parlamento
Persone citate: Suharto, Washington Madeleine Albrìght
Luoghi citati: Giakarta, Usa, Washington
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