Veltroni: «Circostanze mollo strane» di Liliana Madeo

Veltroni: «Circostanze mollo strane» La soprintendente: «Sono opere inestimabili, quindi non commerciabili. Le ritroveremo» Veltroni: «Circostanze mollo strane» «Ignorate altre tele, ma i ladri hanno preso l'incasso» ROMA. «Inusuale», ripete Walter Veltroni. E con termini analoghi gli fanno eco il generale dei carabinieri Conforti, il questore di Roma Pagnozzi, la direttrice della Galleria Nazionale di Arte Moderna Sandra Pinto. I tre dipinti, portati via da tre malviventi con modalità che da noi non hanno precedenti, hanno provocato uno choc e un grave smarrimento. Nel salone del ministero dei Beni Culturali i silenzi e gli interrogativi si moltiplicano, sotto i fasci di luce delle telecamere. L'enormità dell'impresa apre la strada a un'enorme gamma di ipotesi. Ma nessuna delle persone delegate alla tutela e protezione dei quadri rubati vuole inoltrarsi per queste piste. Meglio tentare di capire che cosa è successo e quale sia la matrice di quanto è accaduto. Le zone d'ombra restano tante. I tasselli di verità che si fanno largo nella ricostruzione della sequenza della rapina aprono la strada a scoraggianti considerazioni. Il sistema delle telecamere che registrano quanto avviene nelle sale non ha funzionato: era in riparazione da giorni. Il sistema di allarme non è collegato né con i carabinieri né con la polizia: «A Torino, nella Galleria Sabauda che dirigevo prima di venire a Roma, questo collegamento c'era. A Roma l'allacciamento lo richiesi subito, ma risultò difficile ottenerlo», ammette Sandra Pinto. Walter Veltroni dice: «E' successa una cosa che ci rattrista e preoccupa tutti. Non siamo di fronte a un furto, ma a una rapina a mano armata, con tre per sone nascoste sotto un passa montagna, uso di armi, tre custodi legate e imbavagliate, tele importantissime staccate dalle pareti e portate via con tutte le cornici come i ladri di quadri non fanno mai. Un fatto raro, che ha dimensioni inusuali furti d'arte avvengono in tutto il mondo, anche in pieno giorno cóme è accaduto di recede al Louvre. Ma qui ci sono non po che circostanze strane. L'assolu ta padronanza del luogo dimo strata dai tre uomini. La preci sione con cui i rapinatori hanno raggiunto la cabina di controllo dove è installato l'apparato di si curezza. La conoscenza dei percorsi non tutelati dal sistema di allarme generale, quello che scatta appena si entra in una sa la. L'aver portato via proprio questi quadri, che sono di gran dissimo valore, ma non sono me no importanti i Monet, i Degas, De Chirico che si trovavano lì ac canto. «Le misure di allarme fimzio navano, sia quelle perimetrali sia quelle legate ad ogni singolo quadro. I dispositivi erano già entrati in funzione, alle 22,05, dopo la chiusura della Galleria e l'uscita dei visitatori che - sommati a quanti avevano seguito un corso sull'arte contemporanea - erano circa 90, dopo l'inizio del nuovo turno di vigilanza, quello notturno, che è garantito da tre persone più un funzionario di turno, che ieri sera si trovava a fianco del salone centrale in cui si era svolta la conferenza. I dispositivi funzionavano per lo scopo previsto. Ma quanto è successo rappresenta un passaggio criminale di qualità non indifferente, qualcosa di nuovo. L'anno scorso era stato varato un programma di spesa di 170 miliardi, per impianti di sicurezza. Ma non era stato previsto l'ingresso dt di uomini armati in un museo». Dalle 3 di questa notte la Pinto, Conforti, Veltroni, Pagnozzi, il direttore generale dei Beni Culturali Serio raccolgono dati, ricostruiscono il giallo. Era stato un anno confortante, quello scorso, per il nostro patrimonio culturale: scese del 40 per cento le opere rubate, salite al 50 per cento quelle ritrovate. La rapina apre diversi scenari. La Pinto dice: «Sono opere di enorme valore ma non commerciabili. Io sono sicura che si ritroveranno». Veltroni assicura: «Tutto il nostro impegno è teso al recupero delle tele». Conforti riconosce: «Ci domandiamo dove queste opere possano essere andate, se sul mercato interno od estero, se oltreoceano, magari in Giappone, se la mano dei rapinatori è stata armata dal terrorismo internazionale. Tutte le piste possibili le percorreremo». Il questore Pagnozzi osserva: «Hanno voluto che le vigilanti gli dessero i documenti. Hanno voluto anche i loro codici fiscali. "Sappiamo chi siete. Non fate scherzi. Non avvisate subito la polizia. Sapremmo come punirvi", gli hanno detto. Un'azione di professionisti, studiata a tavolino, probabilmente su commissione». La Pinto riflette: «Il numero dei vigilanti è quello che prescrive la legge Ronchey. Le custodi che si trovavano qui la notte scorsa so¬ no affidabilissime. Come hanno fatto i rapinatori a eludere il sistema di allarme per arrivare fino alla centralina dei sistemi di sicurezza? Conoscevano il sistema meglio di noi. Hanno approfittato del primo momento dopo la chiusura, non hanno agito in piena notte. La Galleria a quell'ora non era vuota. C'era un usciere sulla scalinata, dopo la chiusura, che stava fumando una sigaretta. C'erano i camerieri del bar. Quante persone conoscono il sistema di sicurezza? Poche fra noi della Galleria. Tante fra le ditte che curano la manutenzione, che lavorano per i collegamenti fra le diverse strutture della Galleria, che provvedono alle pulizie. Tutte persone controllate da questura, prefettura...». Il rovello di tutti lo riassume Veltroni: «Hanno arraffato i soldi, i biglietti gratuiti, le cuffie per sentire le cassette. Un gesto in contraddizione con la professionalità con cui è stata condotta l'impresa. Anche queste sono cose che ci inquietano. Chi ha organizzato il colpo? Qual è la dimensione del crimine commesso? Dove nasce? Quali opportunità di compierlo gli è stata offerta? Magari ci vorranno anni per riuscirci, ma la verità - e le tele - verranno fuori». Liliana Madeo Il ministro dei Beni Culturali Walter Veltroni e nell'altra foto lo storico dell'arte Federico Zeri

Luoghi citati: Giappone, Roma, Torino