E nel tourbillon delle accuse scatta il contrapiede di Flick di Fabio Martini

E nel tourbillon delle accuse scatta il contrapiede di Flick E nel tourbillon delle accuse scatta il contrapiede di Flick LE DIMISSIONI A SORPRESA CROMA URIOSO: quella sera - era martedì 18 maggio - appena uscito dal «fuoco» di Montecitorio, Giovanni Maria Flick non sembrava un ministro sull'orlo di una crisi di nervi. Nulla lasciava presagire lo strappo delle dimissioni. Racconta il sottosegretario alla Giustizia Peppino Ayala: «Appena il dibattito è finito, ho parlato con Flick e se devo essere sincero non mi era parso particolarmente provato. Mi ha detto che l'opposizione era stata dura e io, scherzando gli avevo risposto: "Fottitene, se l'opposizione attacca, fa semplicemente il suo mestiere..."». All'amico Ayala, neanche una confidenza alle possibili dimissioni? «Zero...». Ma più tardi, nel cuore della notte, Flick aveva rimuginato su quella battaglia parlamentare e, ancor più delle feroci ironie di Filippo Man cuso, il ministro era rimasto colpito dalle parole di Fabio Mussi, il più importante capogruppo di maggioranza. «Qualcosa non va, ministro...», aveva sciabolato Mussi nell'aula di Montecitorio. E così, nel cuore di una notte agitata, tra martedì e mercoledì, Flick ha deciso la contromossa, il contropiede per uscire dalla posizione di ministro dimezzato: l'offerta delle proprie dimissioni. Quel che Flick non aveva potuto immaginare e quel che Palazzo Chigi ha gestito a fatica, è che le dimissioni del Guardasigilli hanno trasformato mercoledì 19 maggio nella più convulsa e più difficile giornata del governo Prodi. Dimissioni date, respinte, poi congelate: in poche ore si è alzato un tourbillon confuso che ieri sera ha costretto Palazzo Chigi a diffondere un insolito comunicato: un racconto, una «giuda» ragionata alla difficile giornata che si era appena conclusa. Tutto ha inizio ieri di buona mattina: il ministro di Grazia e Giustizia legge sui giornali le critiche molto aspre che arrivano da tutte le parti, quelle richieste insistite di dimissioni che piovono da ambienti non etichettabili come di opposizione. E si convince definitivamente che l'unica via d'uscita è proprio quello delle dimissioni. Flick ne parla con Prodi e poi si chiude in un isolamento che dura per tutta la mattina. Chiunque cerchi il ministro, non riesce a trovarlo. Un lungo block out nel corso del quale Flick scrive personalmente il testo della lettera che più tardi consegnerà nelle mani di Prodi. Una lettera priva di asprezze polemiche, ma nella quale si possono leggere, in filigrana, i veri motivi del disappunto: Flick delinea il disegno delle riforme che ha approntato e annota: «Tutto ciò si fa strada a prezzo di ininterrotti contrasti e frequenti incomprensioni». E più avanti: la fuga di Cuntrera avviene in una fase nella quale «pare attenuarsi, anche nella maggioranza, la percezione della necessità del disegno riformatore». Un j'accuse sottile, discreto nello stile dell'uomo, ma chiaro agli occhi di chi sa leggere la lettera. Ma con il passare delle ore la «gestione» delle dimissioni di Flick si rivela più complicata del previsto. Alle 15 il ministro viene visto entrare nel cortile di Palazzo Chigi. Ai cronisti che lo vedono, appare una visita di routine perché delle intenzioni di Flick, della sua volontà di dimettersi, fuori dal Palazzo nessuno sa nulla. E così, un'ora più tardi, fa grande effetto il breve comunicato di Palazzo Chigi: «Il presidente del Consiglio ha respinto le dimissioni del ministro di Grazia e Giu¬ stizia Giovanni Maria Flick». A prima vista, sembra una gestione sapiente della «grana»: Prodi ha chiuso il caso ancor prima che all'esterno se ne sapesse qualcosa e soprattutto ancor prima che i «tifosi» del rimpasto potessero approfittarne. «C'è una cosa che Prodi non vuole ed è proprio un rimpasto del governo», spiega Enrico Letta, vicesegretario del ppi e amico del presidente del Consiglio. Ma quelle dimissioni date e respinte in pochi minuti fanno venire a molti il sospetto di dimissioni pilotate, di una rappresentazione e fanno scatenare le opposizioni. Tra le 16,30 e le 18 è un diluvio di dileggi: «farsa», «dimissioni all'italiana», «sceneggiata» e persino un leader della maggioranza come Bertinotti sfodera un termine poco piacevole: «balletto». E mentre le agenzie «batto¬ no» i commenti alle dimissioni date e respinte, Flick è già arrivato al Quirinale. Per dire cosa a Scalfaro? Per ribadire la sua volontà di dimissiom? Nessuno lo sa, anche perché - altro dato curioso di una giornata confusa - il Quirinale non dà notizia dell'incontro con Flick. E finalmente, alle sette della sera, si apprende in via informale che le dimissioni di Flick sono state sì «respinte» da Prodi, ma che il ministro ha ribadito la sua intenzione e che ha semplicemente accettato di «congelarle». In attesa di cosa? Di una nuova fiducia della sua maggioranza. Che, sia pure a fatica, arriva in serata, ma che questa mattina alle 8,15 sarà definitivamente ribadita a Flick dai capigruppo della maggioranza. Fabio Martini Incontro con Scalfaro mentre divampano le polemiche