Ufficiali e businessmen

Ufficiali e businessmen Ufficiali e businessmen Gli strani generali dell'armata indonesiana ' RETROSCENA 0 ' m ^^^^^m IL POTERE E IL DENARO ■ L «gemi nastiti» è confortevolI mente piazzato al nono posto H tra gli 11 comandamenti delle forze armate indonesiane, tra l'invito alla lealtà verso i superiori e la disponibilità a correggere i propri errori. Il principio è saldo, canonico, vincolante: essere parchi nelle spese e limitarsi a quanto è strettamente necessario. Non era certo una regola di vita per il generale Ibnu Sutowo, che aveva sostituito la scuola di guerra con il consiglio di amministrazione di un colosso petrolifero e finanziario, la Pertamina. A chi gli rimproverava uno stile un po' troppo fastoso, simpaticamente vicino ai fasti delle Mille e una notte, rispondeva con degnazione: «Lavoro nel campo dell'esportazione del tabacco, nel settore farmaceutico, tessile, della gomma, ho interessi in sei o sette società. Nel petrolio non vorrei proprio immischiarmi. Ma non è colpa mia se la gente vuole fare affari con me: vedete, sanno chi sono...». I trent'anni del regime di Suharto, il suo capitalismo sconclusionato e corrotto, sempre a metà tra fa- miglia e caserma, tra apollinee finzioni moderniste e banale routine repressiva, sono tutti contenuti in quella piccola frase: «Sanno chi sono...». La Pertamina è stata uno dei maggiori scandali del trentennio. Fondata alla fine degli Anni '60, aveva il monopolio della prospezione di gas e petrolio, era l'interlocutore esclusivo delle compagnie straniere e raccoglieva qualcosa come il 70% dei ricavi delle esportazioni. Uno impero da Paperone, una cassaforte le cui chiavi erano state consegnate generosamente ai generali, che si succedevano alla presidenza, sotto lo sguardo compiacente di Suhaito. Sono stati gli anni ruggenti della democrazia ottimisticamente definita «guidata», della Pantjasila, un pasticcio ideologico che avrebbe dovuto sostituire la religione, ma soprattutto arricchire «la famiglia». I generali-manager, in un delirio napoleonico, hanno comperato linee aeree, compagnie marittime, assicurazioni, investito nel settore delle telecomunicazioni, messo nel portafoglio imprese di costruzioni, gestivano perfino un ristorante a New York. Era stata affidata loro la realizzazione dell'acciaieria di Tji Legon (ma per prima cosa si sono costruiti il campo da golf e ville hollywoodiane), la gestione di risaie a Sumatra, il rilancio economico dell'isola di Batam. Con la tecnica della maggiorazione fittizia dei prezzi (fino al 40%, in Indonesia è una regola non scritta dell'economia) i generali si sono costruiti fortune immense. Quando tutto è franato il governo è rimasto con una gigantesca cambiale di dieci miliardi di dollari da pagare. Strano esercito quello di Giakarta: gli stessi generali riconoscono che la guerra è l'ultima delle loro preoccupazioni e qualcuno, senza scherzare, dice prima o poi bisognerà «militarizzare i militari». Il loro motto è «ordine e sviluppo». Per ottemperare al primo hanno annientato in questi anni tutte le forme di opposizione, dai comunisti agli studenti agli islamici, bollati come egualmente «sovversivi». Le specialità del «Kopkamtib», la sezione per difendere sicurezza e ordine, era correggere «gli eccessi del- lo sviluppo» (cioè gli scioperi) e le elezioni. Bastava una telefonata ai giornalisti o agli esponenti politici più riottosi alle delizie dei «Cinque Principi» di Suharto per rimettere tutto a posto. Ma la vera operazione-capolavoro di questa confraternita di aspiranti uomini d'affari parcheggiati in caserma è stata quella che gli indonesiani, con ama¬ ra ironia, chiamano «rinverdire le istituzioni» (dal colore delle uniformi). Come una colata di lava gli alti gradi dell'esercito hanno fagocitato i settori chiave delle istituzioni politiche e soprattutto economiche. Hanno preso il posto, in fondo, di una borghesia d'affari inesistente b troppo fragile. Disponevano del potere, indispensabile per accedere a credito, licenze, contratti. Avevano bisogno di alleati: li hanno trovati negli uomini d'affari dell'etnia cinese, che avevano i capitali e il genio per gli affari ma cercavano protezione. Negli ultimi anni anche nell'esercito sono sorte voci robuste di dissenso, gli ufficiali più giovani hanno chiesto di porre un argine alla corruzione, di emendarsi da questo soffocante affarismo ancor più pericoloso quando lo sviluppo sparisce nei debiti. Ma è un brontolio forse ancora troppo sommesso per indurre i generali a cacciare dal consiglio d'arnministrazione il loro vecchio socio, Suharto. Domenico Quirico Gestiscono petrolio linee aeree, imprese di costruzioni e assicurazioni, hanno fortune immense ' soldati indonesiani faccia a faccia con gli studenti

Persone citate: Domenico Quirico, Ibnu Sutowo, Suharto

Luoghi citati: Giakarta, Indonesia, New York