Allen, un impostore fra gli attori di Tucci di Alessandra Levantesi
Allen, un impostore fra gli attori di Tucci Allen, un impostore fra gli attori di Tucci CANNES. Sorpresa! Per «The Impostore» (Regard), il secondo film di Stanley Tucci dopo il delizioso «Big Night», c'era una certa attesa, anche per via di un cast ricco di nomi, da Steve Buscemi ad Alfred Molina, da Campbell Scott a Isabella Rossellini. Ma apprestandosi a seguire le farsesche avventure di Arthur (Tucci) e Maurice (Oliver Platt), due attori disoccupati degli Anni 30 perennemente in mezzo ai guai, nessuno si aspettava di veder spuntare sullo schermo Mr. Woody Alien in persona: le cui apparizioni in pellicole non dirette da lui si contano sulla punta delle dita di una mano. In alcun modo preannunciato nei titoli, Woody incarna un drammaturgo in prò- cmto di mettere su la commedia della sua vita con i soldi della moglie produttrice, la quale però gli telefona che lo sta lasciando giusto nel coreo del provino dei due sfortunati protagonisti. L'amichevole partecipazione, nata forse sul set di «Harry a pezzi», dove Tucci era l'infelice marito di una psicanalista, vale tanto oro quanto pesa: nel breve ruolo Alien dispiega una tale consumata arte di «entertainer» da rendere l'audizione uno dei capitoletti più divertenti del film. Ma bisogna di¬ re che le prime scenette di «The Impostore» sono tutte molto riuscite: ritagliate con finezza sulla farsa d'epoca, con Tucci piccolo, magro e decisionista e Platt alto, rotondo e svagato a formare una straordinaria coppia classica. Però sulla nave «Destination» in rotta per Parigi, dove i malcapitati finiscono per sfuggire all'ira di un grande attore (Molina) da loro sfottuto come trombone, la commedia perde tenuta e spessore, si avverte uno sfìlacciamento dovuto alla difficoltà di star dietro a tanti personaggi seguendo il filo di troppe storie. In conclusione, pur se «The Impostore» è meno febee di «Big Night», Tucci si conferma un autentico uomo di spettacolo e non fa mai mancare le occasioni di ilarità. L'imprevista apparizione di Alien ci ha un po' distolti da quella che doveva essere l'an¬ nunciata curiosità del Regard: l'esordio alla macchina da presa di Jeremy Thomas, produttore di Frears, Oshima, Skolimowsky, Cronenberg e soprattutto di Bernardo Bertolucci, a partire dall'«Ultimo imperatore» con i suoi nove Oscar. FigHo del regista Ralph (un veterano con 50 titoli all'attivo), il quarantottenne londinese aspirava da lustri a dirigere un film; e il film che aveva in mente era proprio questo, «Ali the Little .Animals» dal romanzo di Walker Hamilton. Una sorta di favola dickensiana ambientata nell'oggi: in cui il protagonista Bobby (Christian Baie), un giovanotto rimasto bloccato a uno stadio infantile a causa di un incidente automobilistico, si trova a dover affrontare dopo la morte della madre un difficile percorso verso la maturità. Minacciato dal patrigno cattivo De Winter (Daniel BenzaU) che si vuole impadromre del suo patrimonio, Bobby fugge di casa e viene soccorso da un padre buono, ovvero lo stravagante dr. Summers (John Hurt) che ha messo la sua esistenza al servizio dei poveri animali prevaricati e uccisi dall'uomo: ma i problemi del ragazzo non sono finiti... Da parte di Thomas ci si poteva attendere un debutto in linea con il cinema innovativo e sofisticato da lui prodotto: «Ali the Little Animais» rientra rinvece in una tipica tradizione britannica di film a base letteraria, ben scrit to, ben fatto, bene interpretato, prevedibile. Tuttavia ci è sem brato simpatico che il famoso produttore, senza rifarei ad altri modelli, abbia preferito realiz zare il progetto che gli stava nel cuore. Alessandra Levantesi Una scena dal film «AH the Little Animals», esordio alla regia del produttore Jeremy Thomas
Luoghi citati: Parigi
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