C'è dell'odio in Danimarca di Lietta Tornabuoni
C'è dell'odio in Danimarca C'è dell'odio in Danimarca Un velenoso banchetto di famiglia CANNES DAL NOSTRO INVIATO Cena tragica e legami di sangue in «Festen» del danese Thomas Vinterberg, presentato in concorso insieme con «Aprile» di Nanni Moretti. A un lussuoso banchetto affollato di parenti e amici invitati a festeggiare il sessantesimo compleanno del capofamiglia, un figlio in smoking fa tintinnare il bicchiere per richiamare l'attenzione degli ospiti, si alza a parlare. Accusa il padre festeggiato d'essere l'assassino di una sorella da poco suicidatasi. Accusa la madre d'essere ipocrita e falsa: richiuse la porta senza dire nulla un giorno dopo aver visto, entrando nello studio, il figlio bambino in ginocchio e il padre coi pantaloni calati, in atto di strusciare il coso tra i capelli del ragazzino. Accusa una sorella d'aver occultato la lettera in cui la sorella morta scriveva: mi uccido perché mio padre ha ricominciato a prendermi e non posso più sopportarlo. Nel corso della serata, il figlio accusatore e suo fratello, manesco, razzista e quasi pazzo, si picchiano e maltrattano duramente, si cacciano di casa a vicenda, s'insultano; la madre risulta un'accomodante ottimista compulsiva e la sorella una bionda promiscua, l'accusatore si rivela forse innamorato amante della sorella morta. Tutti bevono moltissimo (qualcuno finisce sotto il tavolo), tutti gridano e si sfrenano nell'aggressività: ai- l'alba, naturalmente, con la luce del giorno ogni lacerazione sembra ricomporsi, ma la famiglia è in pezzi e nessuno dimenticherà. Come il treno, il funerale, il ritorno nella città natale, il viaggio, la festa di nozze o la scuola, il pranzo è un gadget drammaturgico classico del film corale, ed è sempre occasione di segreti funesti, rivelazioni nere, liti irose, scontri e conflitti così aspri da far pensare che al cinema si farebbe meglio a digiunare o ad andare sempre a mangiare da McDonald. Più cupo, alcolico e violento del solito, «Festen» somiglierebbe a tanti altri film del genere «famiglie, vi odio», se non fosse per il fatto che il regista ventinovenne appartiene al gruppo Dogma 95, formatosi tre anni fa in Danimar¬ ca per iniziativa di Lars von Trier allo scopo di depurare i film da ogni artificio e standard commerciale, di tornare a una «castità» originaria del cinema. Dogma 95 (un suo certificato di garanzia è la prima immagine di «Festen») rappresenta l'unica attuale Nouvelle Vague europea, e impegna gli adepti ad osservare dieci comandamenti rigorosi: ambienti reali, senza alcuna aggiunta o manipolazione scenografica; mai commento musicale, sempre il colore, sempre illuminazione naturale; suono in presa diretta, macchina da presa a mano; proibito ogni effetto ottico, al bando i «generi» cinematografici, vietato il nome del regista nei titoli iniziali e finali. In «Festen» il regista Thomas Vinterberg ha commesso e confes- sato alcune violazioni a queste regole (ha introdotto molte canzoni in sostituzione della musica, appare personalmente nella parte d'un autista di taxi): ma lo stile è certo differente da quello usuale. Soprattutto la luce (naturale o elettrica, ma non cinematografica) e la macchina da presa a mano danno al film immagini poco definite, non brillanti; un andamento nervoso, sussultorio; colori pallidi a dominante beige con effetti di solarizzazione. Queste caratteristiche servono benissimo la storia, offrendole una qualità naturale e insieme onirica, l'eloquente ricchezza d'un dipinto non rifinito, il fluire diretto, sregolato, della vita e del sogno. Lietta Tornabuoni Il crudo affresco di Vinterberg allievo di Von Trier llllt§s*:#: Due scene del film danese «Festen», ieri in concorso
Persone citate: Lars Von Trier, Nanni Moretti, Nouvelle, Thomas Vinterberg, Vinterberg, Von Trier
Luoghi citati: Danimarca
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