Da Ponte, il diavolo a caccia di musica di Sandro Cappelletto

Da Ponte, il diavolo a caccia di musica Da Ponte, il diavolo a caccia di musica // librettista di Mozart era affamato di donne e denaro PERSONAGGIO L'EBREO CHE DI ABATE Aseguire le vite parallele dei protagonisti del Settecento, si disegna una traiettoria tanto intricata quanto rivelatrice. Nella sarabanda che ha reso la seconda metà del secolo una delle epoche più fertili e golose della storia europea, giocano bene la loro parte anche le Memorie di Lorenzo Da Ponte, veneto e vagabondo come Casanova, più giovane di lui di una generazione. Li ripubblica ora l'editore milanese Gallone, con prefazione di Armando Torno e cure redazionali di Max Bruschi. Quando lo conobbe, Mozart si sbagliò sul suo conto e, riferendo di quell'incontro al padre, tagliò corto: «Abbiamo qui un certo abate Da Ponte, nominato dall'imperatore librettista del teatro italiano. Deve, per obbligo, scrivere per Salieri... Poi, ha promesso di scrivere per me. Lo sapete, gli italiani sono molto amabili: basta così, li conosciamo. Se s'intende con Salieri, non otterrò mai nulla da lui». Si intese con tutti e due, e con molti altri: l'arte della mediazione intelligente era già tra le qualità più apprezzabili di quell'uomo di 34 anni, sette più di Mozart, nato a Ceneda (Vittorio Veneto), ordinato abate, ma figlio della comunità israelitica di quel paese vene- to, talmente piccola e debole e sottoposta alle leggi, pesanti nei confronti degli ebrei, della Serenissima Repubblica che il padre preferì convertire alla religione dominante tutta la famiglia. Così Emmanuel Conegliano prese il nome, tutto intero, del suo arcivescovo Lorenzo Da Ponte ed entrò, assieme ad un fratello, in seminario. Di un protettore ha spesso bisogno chi ha deciso di godersi la vita. L'episodio della conversione è sorvolato con grande disinvoltura nelle Memorie che l'abate, e peccatore convinto, inizia a scrivere a New York nel 1807. «Una vita a caccia di donne, soldi e musica» dice, invitante e un po' scontata, la copertina: e una donna del Tiepolo a seno scoperto ci guarda, mentre arpeggia un mandolino. Fenimine ne ha trovate, soldi anche meno, ma questi sempre ridiscussi successi non basterebbero a distinguerlo dai tanti intellettuali libertini e illuminati del tempo. Nemmeno i suoi anni americani farebbero la differenza: la scuola di lingua e letteratura italiana, la prima che si ricordi aperta a New York, il lavoro come impresario di un teatro dedicato all'opera italiana inaugurato con la rossiniana Gazza ladra, la prima rappresentazione oltreoceano del Don Gio¬ vanni, e tutto questo anche vendendo liquori, medicine, occupandosi di trasporti pubblici. Avventuriero di genio, un Casanova più pratico, meno malinconico e meno compiaciuto di sé, benedetto dall'incontro viennese con Mozart, in un momento in cui il compositore era alla ricerca di nuovi libretti e il teatro d'opera costruito sui versi e la visione del mondo di Metastasio aveva iniziato la sua crisi irreversibile. Il merito di Da Ponte è stato quello di capire questa necessità mozartiana, di trovarsi pronto all'occasione, sovvertendo l'iniziale giudizio hquidatorio del musicista. In questa prospettiva, le pagine iniziali della biografia sono decisive per comprendere il cbma culturale in cui il ragazzo si forma a Venezia, dopo aver lasciato Ceneda. Tra avventure d'amore, ma¬ scherate galeotte, indignazione dei benpensanti - ammesso che in quella Venezia ce ne fossero - per la facilità con cui il cottolone da abate preferiva toglierselo, magari alla presenza di fanciulle (era convinto che «una donna a quindici anni/ dee saper ogni gran moda,/ dove il diavolo ha la coda») o mogli altrui, il ragazzo trova il tempo di aderire alle, per quanto confuse, idee repubblicane del patrizio Giorgio Pisani, di essere riconosciuto come «derisore delle parrucche aristocratiche e del corno del doge». Partono le denunce anonime che lo accusano di «rapto di donna honesta, adulterio e pubblico concubinaggio» e l'abate deve lasciare la laguna, per una capitale più grande e più solida, Vienna. Oppure è dovuto fuggire davvero per un'estrema, troppo imprudente, sciabolata dongiovannesca? A Vienna, essenziale diventa la frequentazione con la certe di Giuseppe II, muminata e riformatrice, anche se i racconti di Da Ponte sulla facilità con cui il sovrano, seguendo l'esempio di sua madre Maria Teresa, elargiva a piacer suo pensioni, prebende, regalie, benefici, farebbero impallidire il ministro Ciampi e tutti i so stenitori del rigore nella spesa. Ri voluzionario e devoto suddito degli Asburgo? Allora, il compromesso ideale per eccellere, per riuscire ad aggirare il divieto della censura austriaca a rappresentare Le nozze di Figaro di Beaumarchais, già vietate come commedia e dunque impossibili da allestire anche come opera. Capolavoro, mai smentito, della sua abilità dialettica, astuta quanto l'intuizione dell'affinità possibile tra quel testo e l'orizzonte poetico di Mozart, non di altri musicisti attivi a Vienna in quegli stessi anni e per i quali, in particolare Antonio Salieri e lo spagnolo Vicente Martin y Soler, ha frequentemente lavorato. E' Da Ponte l'«araba fenice» invocata da Mozart, capace di realizzare la sintesi tra «un buon compositore che capisce il teatro ed un poeta intelligente». Nel 1786, quando Le Nozze debuttano, Metastasio è morto da quattro anni ed è lui la nuova «musa vergine», che non può vantare altri «drammi» nel suo curriculum. Senza esperienza, anche senza le ruggini dell'abitudine, creatore di una lingua parlata e studiata, semplice e colta, trasversale ad una società che sta esplodendo, a un tempo della storia che accelera. Un anno dopo la riduzione da Beaumarchais, è ancora Da Ponte a «scegliere» il Don Giovanni, scritto contemporaneamente ad altri due libretti: «Scriverò la notte per Mozzart (lo chiama sempre così, raddoppiando la z) e farò conto di legger l'Inferno...». Paragone appropriato: quel «cavaliere estremamente licenzioso» è infatti un personaggio infernale, ultramondano, congruo a quei tempi dove accadono grandi rivolgimenti. Poi il Così fan tutte, il cinismo malinconico e così vero di quello scambio di coppie, il dismeanto del terzo e ultimo capolavoro comune. Mozart muore, lui fugge da Vienna a Trieste, da Vienna a Londra, infine negli Stati Uniti, incapace di risollevarsi ancora alle altezze raggiunte. Vivrà a lungo, orfano sempre di quella musica. Troppo orgoglioso per ammetterne Ù decisivo contributo alla sua stessa eredità, di Mozart parla poco nelle Memorie, preferisce porre sempre se stesso al centro dell'azione. Ma sa raccontare con gusto e tratto forte e attento; quando mente, lo fa per autoassolversi. Aveva dovuto fronteggiare troppe volte giudici e processi, troppe volte difendersi perché possiamo fargliene una colpa, di fronte a tanti meriti. Sandro Cappelletto In libreria le «Memorie» d'un altro protagonista della vita culturale e mondana del gran secolo Lorenzo Da Ponte una vita pericolosa tra sacro e profano Fece innumerevoli mestieri prima di diventare «un poeta intelligente»