Milane un largo dedicato a Enzo Tortora

Milane un largo dedicato a Enzo Tortora I familiari: finalmente qualcuno si è ricordato di lui. Dario Fo: no alle strumentalizzazioni Milane un largo dedicato a Enzo Tortora Appello a Flick: puniamo i giudici che lo condannarono MILANO. «Largo Enzo Tortora. Giornalista. 1928-1988», c'è scritto sulla targa di marmo, a metà di corso Magenta, nel cuore di Milano. Un cittadino illustre, dunque. Suo malgrado, visto che non è per avere inventato Porto bello, il primo esempio di tv nazional-popolare, che il comune di Milano gli ha intitolato una strada. «Enzo Tortora, fu vittima di una paradossale vicenda diventata simbolo della fallibilità della giustizia umana», ricorda il vice sindaco Riccardo De Corato, mentre davanti a cinquanta persone strappa il velo che copre la targa. Non ha bisogno, qui, di ricostruire quella storia giudiziaria, le accuse dei pentiti, i magistrati napoletani che firmano l'arresto, la foto di lui con quella faccia un po' così, in manette tra i carabinieri. Tre anni prima, tre anni di carcere prima di quella sentenza d'appello che cancellerà tutto senza neanche le scuse. E' un simbolo, Enzo Tortora. E come tutti i simboli, fa gola a molti. A troppi. Tanto che più che ricordarlo, i suoi amici sono costretti a difenderlo, ancora una volta da chi cerca paragoni imbarazzanti. «Gemellaggi osceni», li chiama sua sorella Anna. Che spiega: «Ci sono colletti bianchi che siedono in scranni importanti, che hanno paragonato il loro caso a quello di mio fratello». Con una differenza importante, giura lei: «Vorrei ricordare che mio fratello si è consegnato alla magistratura rinunciando all'immunità parlamentare. Era innocente lui, non aveva i cassetti pieni di tangenti e falsi in bilancio». Un ragionamento che piace anche al premio Nobel Dario Fo, pure lui davanti alla targa: «Adesso cercheranno di fare un bel papocchio, di dimostrare che tutta la giustizia è uguale. Che tutti i magistrati hanno sempre qualche teorema nascosto nell'armadio...». Possibile, ma è davvero grande così la fetta di mondo politico che dopo la morte di Enzo Tortora, aspetta che quei giudici paghino. Paghi chi ha sbagliato, chi ha manomesso, chi ha infilato il nome del cittadino Enzo Tortora nel mazzo di una lunga serie di arresti dove i casi di omonimia erano più di uno. «Chiediamo ragione dell'assoluta impunità di cui hanno goduto quei magistrati», scrivono 50 parlamentari al ministro della Giustizia Giovanni Maria Flick. Tra loro, Marco Taradash, Tiziana Maiolo, Alfredo Biondi, Marco Boato e Gianni Pilo. «Vedere quella targa mi ha dato momenti di amarezza e di soddisfazione», spiega Francesca Scoppelliti, la compagna di Enzo Tortora oggi parlamentare di Forza Italia. «La soddisfazione è perché questo comune si è ricordato di lui, dopo le dimenticanze delle giunte precedenti. L'amarezza è perché ci è voluto molto tempo», racconta. E poi spiega che dall'anno prossimo sarà intitolato a Enzo Tortora un premio. Un riconoscimento speciale a chi, rimasto vittima dell'ingranaggio giudiziario, sarà riuscito a trovare la forza di uscirne. Come fece Tortora, che al ritorno a rortobello esordì con la frase: «Dove eravamo rimasti?», ma non smise di occuparsi di giustizia. Anche nelle file dei radicali di Marco Pannella, che lo avevano portato in Parlamento. Una battaglia che non finisce neanche adesso, dieci anni dopo. Visto che sua figlia, Silvia Tortora, ha presentato un ricorso alla Commissione europea per i diritti dell'uomo, per avere quel risarcimento che l'Italia ha sempre negato, [f. poi.] Enzo Tortora

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