E dottor Boom divenne mister Crack
E dottor Boom divenne mister Crack E dottor Boom divenne mister Crack Così è caduto il re delle pinzette (e l'economia) IL MIRACOLO FALLITO GIAKARTA DAL NOSTRO INVIATO Il «Klub Exekutif International» si affaccia quasi con ribrezzo sul torrente Anjol, una linea d'acqua putrida che taglia in due il quartiere di Jelambar. Da questa parte ci sono i palazzi della nuova borghesia, disegnati dagli incubi notturni di architetti giapponesi. Cinquanta metri più in là, appena oltre il torrente, c'è il «Jelambar Kampong», ovvero la baraccopoli. Bawu Sari Parkindo, 52 anni, l'osserva con un misto di schifo e disillusione: «Fra breve le mostrerò i laboratori ma intanto si accomodi, beva qualcosa...». Il gesto è quello di un imprenditore ancora orgoglioso di mostrare il suo «status» eppure animato da forti inquietudini. Questa mattina, con altre centinaia di persone il signor Parkindo era in fila alla «Lippo Bank» per ritirare dal conto tutto il danaro che possiede. Come il resto degli indonesiani voleva cambiarlo in valuta forte, prima che scada il «congelamento» deciso nell'ultimo week-end e s'inizi la putrefazione della rupia. Non c'è l'ha fatta, come molti, ma in quella banca dalle lamentele è nato un contatto, dal contatto un racconto e adesso eccoci ad osservare un raro momento d'economia indonesiana giocata - come tutto, in questo Paese - nell'incontro fra due sponde di un fiume. Il dottor Parkindo sta fallendo con tutte le sue imprese, esattamente 12, e la parola «fallimento» forse non basta a spiegare coma una fortuna possa liquefarsi in poche settimane, e con essa il destino di otto, novecento persone. «Forse anche di più, non lo so esattamente: nei miei laboratori la manodopera era piuttosto elastica, aumentava con l'incremento degli ordinativi». Quegli «ordinativi» possono sorprendere tanto minimi e diversi appaiono, tanto poco siamo abituati a pensare a come e chi produce quegli oggetti che ogni giorno ci passano per le mani. La «Javapark», il gruppo di questo signore, prosperava grazie alle mollette (o pinze da biancheria), al montaggio di quadranti autoadesivi su casse di orologetti a pila, la produzione di beccucci di plastica per bombolette «spray», lo stampaggio di tastiere per telefonini e tutta un'analoga serie di minuscole, inimmaginabili attività. Fino all'autunno scorso, almeno. Finché per comprare nuove macchine per lo stam- paggio delle tastiere telefoniche (settore in espansione) il signor Parkindo chiese alla «Lippo Bank», di proprietà cinese, un prestito del valore di 40 mila dollari al tasso del 26 per cento, da restituire in rupie nell'arco di cinque anni. La rata mensile, spiega, allora era di quindici milioni di rupie, più o meno. A gennaio diventò di ventitré, a febbraio di trentasette, poi di sessanta: oggi non riuscirebbe neanche a calcolar¬ la. Il grande «crack» delle Borse orientali aveva trascinato anche l'Indonesia nella spirale dell'indebitamento. La banca si è ripresa i macchinari il 12 di aprile, i centoventi operai se ne sono andati a casa. «Guadagnavano l'equivalente di un dollaro e mezzo al giorno, uno stipendio non male. Ma anche per loro il salario si era ridotto a un valore reale di trenta centesimi. Adesso non hanno più neanche quelli». Nel frattempo la splendida casa comprata tre anni fa nell'«Estate park» d'oltreiiume cominciava a costare troppo. Prezzo d'acquisto, 380 mila dollari, rata di mutuo schizzata a centodieci milioni di rupie. «Il costruttore cinese sta per portarmela via. Gli ho offerto di restituirla in cambio di una parte dell'anticipo: mi ha proposto cinquemila dollari se gliela lascio subito, oppure niente. Temo che dovrò accettare...». La lussuosa «Lexus» di famiglia è stato il primo bene a volare via, era un'auto quasi nuova, è stata venduta bene. La signora Parkindo ha ceduto al marito la piccola «Toyota» su cui si muoveva ed i tre camerieri di casa si sono ridotti a uno. «Anche lì, sessanta dollari al mese risparmiati. La cuoca, quella è rimasta: singhiozzava, diceva che non poteva andare da nessuna parte. Resta da noi ma senza paga». Nel frattempo anche il laboratorio che trattava plastica ha cominciato ad andare in cr Era nell'area di Gyogyakai lu, seicento chilometri da qui, i prodotti raggiungevano via camion il porto della capitale. «Il primo di aprile, l'aumento del 71 per cento della benzina ci ha stroncati. Era una delle misure imposte dal Fondo monetario, d'accordo, ma nello stesso momento cessavano i contributi sull'energia elettrica. I margini erano troppo esigui. Altri trecentocinquanta operai a spasso». «Ecco, vorrei che in Europa voi capiste alcune cose», continua l'ex uomo d'affari. Sta centellinando un whisky e mentre il liquido si abbassa lui ha l'aria di chi calcola il suo istantaneo aumento di prezzo. «Mi rendo conto di come l'Fmi tenti di imporre delle regole, capisco le leggi del mercato globale. Ma davvero qualcuno pensa che in Indonesia si possano aumentare i prezzi senza che 200 milioni di persone impazziscano ed il sistema tracolli? Davvero i banchieri credono che basti imporre criteri e pararr.etri perché le cose funzionino? Pensi solo all'accordo firmato da Suharto con l'Fmi: prevedeva solennemente un tasso d'inflazione annuo del 17 per cento e le rivolte di questi giorni l'hanno già fatto balzare al duecento per cento». Un laboratorio è ancora aperto, ed è proprio quello al di là del fiume, nella «Jelambar Kampong», la baraccopoli. Par kindo ci è affezionato perché vent'anni fa aveva cominciato proprio da qui. E nonostante l'aria di leggero disgusto acconsente a guidarci in una visita. Il disgusto era dovuto all'odore. All'ondata putrescente che s'innalza come una cortina ai margini della baraccopoli, segnando,un vertiginoso salto indietro nel tempo e nella condi- zione' umana. Chiamare «laboratori» queste capanne è come definire banchiere uno strozzino. Non so dirvi quanti anni avessero le ragazze che come formiche nevrotizzate montavano mollette da biancheria. Da queste parti, si sa, anche un'adulta può apparire giovanissima, magari impubere, a volte addirittura bambina. Il rumore equivaleva ad un continuo, frenetico «clack-clack», dovuto a decine di mani che univano i due pezzi di plastica attraverso la molla metallica. Ho notato piuttosto che sulla baraccopoli cominciano a stendersi striscioni verdi che inneggiano all'Islam ed alla solidarietà fra poveri. «Anche qui, fino a due mesi fa c'erano 300 operaie, adesso sono 80. Finita la fornitura di plastica manderò via anche loro. Io spero di trasferirmi a Bangkok con la famiglia, ho dei fratelli là, forse potrò ricominciare». Ma le operaie licenziate? «Ne ho viste diverse in giro. Adesso purtroppo dormono per strada». Sono oltre 500 le vittime dell'incendio che ha devastato il centro commerciale di Giakarta A sinistra un'immagine delle proteste A destra Muhammed Suharto
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