Sindone, il miracolo dell'ordine

Sindone, il miracolo dell'ordine Torino: una folla organizzata, che contrasta con quella anarchica in visita al Museo Egizio Sindone, il miracolo dell'ordine In coda con i pellegrini, discreti e silenziosi I TORINO N quel buio, davanti a quel lenzuolo così stupefacente e anzi tragico, osservo la gente intorno a me. Ragazze sudate a capo chino, vecchie signore della provincia in abitini di cotone, pensionati dall'aria un po' spiritata in blue jeans e camiciola estiva e ragazzi di quasi tutte le età, bambini inclusi, tutti piuttosto contenuti, alcuni persino turbati. L'abbigliamento estivo ieri a Torino era sbagliato: il tempo s'è infatti guastato un'altra volta con spruzzi di pioggia, folate di vento, brividi della natura che si sono riverberati nelle schiene pellegrine provocando starnuti anche in chi stava piamente spandendo qualche lacrima. Ciò accadeva verso le tre del pomeriggio, ia fatale «ora nona» della Passione per chi crede. E che per me e altri stupefatti pellegrini svagatamente estranei al «mood» mistico, era soltanto l'ora di un cielo di piombo illuminato dall'oro che prelude alla maturità del pomeriggio e contiene già in uno spettacolo avvolgente le ombre della sera a Torino. Con i suoi portici. I suoi gendarmi municipali in alta e stravagante uniforme. E le piccole folle di chi vuole farsi fotografare con i gendarmi e con i carabinieri, per quel senso civico e amico della milizia civica in una città così civile. E anche l'ora dei caffè di legno e di cioccolato. Di tavoli da bistrot serviti in modo cortesemente urtante da certi camerieri dall'accento regionale polimorfo. Anche la Sindone fa parte dell'arredo sacro di questa città misteriosa, bardata, sacrale e regale, fiorita e austera, misteriosa. E oggi, in questa domenica di maggio cangiante come le immagini don ble-face che si vendono sotto le tende bianche di piazza Castello, Torino appare lineare e limpida persino nel suo barocco tenue in tinte pastello, con volute da geo metria piana anziché attorcigliata come quella inquieta di Bernini e Borromini a Roma: nella disposi zione, anzi: ostensione della Sin done è regale, autorevole, ben or dinata, aggraziata ma perentoria. Ma poco più in là, come diremo più avanti, nel fantastico museo Egizio, la stessa garbata e meravi gbosa città appare invece scollata e scortese, più vicina alle piramidi che alle Alpi. La folla dei pellegrini arriva in flusso continuo che sembra regolato da un rubinetto: il sole si alterna ad un pulviscolo d'acqua che sembra spumante disperso. Diafano ma luminoso e barocco anche lui, pendant del barocco milanese cui è legato per la storia del cardinal Carlo Borromeo, quello del Manzoni, il quale senza voler lo provocò l'arrivo della Sindone a Torino. Lui voleva andarla ad ado rare a piedi fino a Chambéry, ma Emanuele Filiberto gliela fece portare a Torino attraverso il Pie colo San Bernardo e la Val d'Aosta. Quando più tardi andrò al museo del Risorgimento in Palazzo Carignano, troverò una tela che illustra il passaggio del generale Bonaparte attraverso lo stesso passo, con truppe esauste e cavalli stremati sulla neve. Mi vado a far registrare alle pre notazioni, trovo computer ben or ganizzati e personale cortese. Piazza Castello piena di pellegrini ha un aspetto solare. Non sembra che questa gente sia tutta qui in preda a un furore sacro. Probabi lente prevalgono i credenti, non so, ma moltissimi sono soltanto turisti, visitatori che vogliono ve dere un oggetto eccezionale come la Sindone che appartiene certa I mente all'umanità e all'itinerario celtico, a quel mondo franco e carolingio che parte dalla Camargue, luogo del possibile approdo da Gerusalemme, Edessa e Costantinopoh per procedere poi lungo un cammino di impervie motagne, paludi e agguati, imboscate e guerre, locande di frati e di fantasmi, di miscredenti saraceni e spettri armati della antica via Francigena che metteva in comunicazione ad anello la Svizzera, la Francia e Torino. Bisognerebbe forse rileggersi certe pagine di Italo Calvino, specialmente nel «Visconte Dimezzato», per trovare gli echi da crociata, da presenza turchesca e da cristianeria annata che animano il cammino storico della Sindone e ne fanno una grande reliquia piemontese. Anche il mercato degli oggettini sacri nelle tende bianche è tutto sommato discreto: non ha l'aria di un suk, ma di una fiera di santificati paganismi, oggetti di pessimo gusto in stile incerto fra il moresco e il tirolese, e che preludono alla semplicità umana di quella fila che ogni pellegrino ha da percorrere, piede dopo piede, sospiro dopo sospiro, per un'ora e un quarto quando va bene, marciando forzatamente in processione sotto i portici per poi sabre su un camminamento che conduce al Duomo, dove l'attesa snervante si consuma in una stupita e al tempo stesso delusa euforia di 30 secondi davanti alla trama di lino su cui è impressa la sacra o sacralizzata figura. Poi si è subito fuori, espulsi e scaricati dal ventre di quel metabolismo di preparazione e silenzio, trascinamento di piedi. Si esce colpiti, dubbiosi, straniti, impressionati: così come il telo è rimasto ed è impressionato da qualcosa di eccezionale e di indeciìrato, malgrado tutti gli sforzi. Ho visto fiumi di umanità che passavano. E udito voci che dicevano: «Mariuccia, hai preso la Madonnina che segna il tempo?». «Oooh... guarda che bell'angeletto». «E guarda Padre Pio come sta bene con il Papa». «Ma tu ce l'hai il Padre Pio con il Papa più la Sindone? No? Vuoi che te la vada a prendere? Anche per te? Quattro Padre Pio e sei Madonne che cambiano colore?». E a me un foulard, un piatto, una croce, un segno, un oggetto di pessimo gusto che troneggerà d'ora in poi sul televisore, sul controbuffet accanto alla ballerina di bisquit, alla gondola che s'illumina la sera, al deserto con la piramide di Cheope che la giri e cade la neve. Non ho incontrato storpi in attesa di miracolo, ma alcuni disabili in composta attesa, non c'era gente piangente e nessun flagellante, nulla di simile a quel che si vede a Lourdes o a Fatima. Mi dicono che se ne sono visti: esseri umani che si trascinavano in terra, che procedevano carponi pregando, o in ginocchio. Certamente sarà successo e succede, ma non è la regola: questa «ostensio¬ ne» si svolge in marnerà discreta, devota ma senza deliqui, urla, gemiti. Si vede e si sente soltanto gente che trascina la propria esistenza sull'impiantito di legno. E che commenta, borbotta, legge. Si vedono, bisbigliane, nuove e vecchie generazioni che lentamente avanzano. E molti stranieri, ma prevalentemente italiani, anzi prevalentemente settentrionali: un rito religioso franco-savoiardo, una eco delle crociate, dei camminamenti fra i passi di montagna, un reperto delle valli e delle nevi per un lenzuolo passato per le mani di re e regine, condottieri e masnadieri, che in fondo è più del Sacro Graal, è - malgrado il controverso risultato del carbonio radioattivo - l'impronta di un essere umano che combacia in tutto e per tutto con Jesus, Gesù, con il setto nasale fracassato dalla tortura, le 100 e più frustate sul dorso, le chiodature, gli enfisemi, la sofferenza sotto il patibolo durante il percorso verso il luogo dell'esecuzione, essendo il patibolo il brac ciò orizzontale della croce. Sono passato attraverso un tunnel di foulard in poliestere che riproducono il volto dell'uomo della sindone, e ho maneggiato quelle curiose fotografie cangianti che alternano la figura così com'è a quella del Cristo. Penne a sfera di plastica con papa capovolgibile a testina galleggiante, madonne che diventano Cristo, pontefici che si trasformano in Padre Pio, che lascia intravedere le stimmate e la Sindone allo stesso tempo. Sarebbe facilissimo fare dell'ironia, ma anche stupido: questa gente è felice, ha voci gentili anche se stanche. Passano suore candide e gigantesche con toraci matronali che avrebbero fatto febee Fellini e che borbottano perché il ragazzo del bar non ha neanche detto grazie, quando hanno lasciato la mancia. Ci sono piccoli capannelli fittissimi e aperti soltanto a quelli che si riconoscono nel cartello «Bergamo 3». In mezzo c'è un giovane prete che spiega il percorso sacro a giovani di liceo in gita scolastica. Quelli masticano gomma, ascolta¬ no distrattamente, alcuni sono innamorati, altri hanno il mal di piedi, altri sono molto più religiosi del giovane prete e tutti sono uniti, accalcati e alla fine scoppia un'ovazione per l'oratore che si sente un po' lusingato e un po' preso in giro. La piazza è sempre affollata, ma in un ordine di gruppi, di file come di formiche che si avviano alle bancarelle le cui venditrici hanno voci calabresi, poi verso il padiglione delle prenotazioni e libri (e biglietti), infine all'altro capo della piazza per mettersi in fila e cominciare questa lentissima via crucis del pellegrino che avanza a piccole ondate guardando con costernazione la lunghezza del serpente umano, ma anche con devozione. Lungo il camminamento alcuni volontari angelici ma perentori ti sussurrano: «Spegni il telefonino, da qui in poi nessun rumore». E una madre ossessiva tormenta il figho trentenne dicendogli continuamente: «E tu, l'hai spento sì o no quel maledetto telefonino?». E il figho che sbuffa, dà in smanie e ride per far vedere che tutto sommato è un bravo figlio. E tutti camminano a passetti verso il prossimo avviso che dice silenzio, da adesso nessun parli. Altri volontari in camicia violacea e targhetta di plastica si portano l'indice al naso con aria grave: «Ssssthh...», e hanno occhi severi da sacrestani laboriosi, cinerei e infaticabili. Anche questo sarebbe piaciuto a Fellini, che però apprezzava deformità e devozione soltanto se inserita nel grottesco e nel rococò romano. Conto 206 zainetti, 22 ghiacciaie da viaggio azzurre di plastica e un numero imprecisato di francobolli della Sacra Sindone con apposito annullo sotto il portico d'entrata, con un impiegato che timbra, timbra e dà un'aria ufficiale e burocratica a questo raduno per un sacro lenzuolo sulla cui superficie si vede l'inspiegabile fotografia di un essere umano martoriato e giustiziato che potrebbe essere chiunque, persino l'uomo del Golghota. La folla è organizzata, diretta, istruita da cartelli, istruita man i mano, garbatamente condotta fino al luogo sacro e quindi espulsa. Poche decine di metri più in là al Museo Egizio si svolgevano scene di tutt'altra qualità, con una umanità che in larga parte era la stessa: file oppressive e senza ordine, personale che fumava, giovinastri con look da pirata che si facevano strada nella fila a gomitate vociando, bambini dall'aria proterva che toccavano i dipinti con le mani. Tutto ciò che accadeva al museo Egizio in un certo senso faceva da contrappunto e da contrasto all'avvenimento della Smdone e al suo percorso accuratamente studiato e sorvegliato: maleducazione, sfondamenti giovanili con urla, ascensore bloccato per i disabili su sedia a rotelle che soffocavano per le sigarette di chi li spingeva spargendo su di loro la cenere, vecchie signore abbandonate dal capogruppo in preda ad attacchi di panico. Era curioso vedere come la natura umana fosse nei due luoghi contigui sempre la stessa, ma affidata a livelli di sensibilità diversi, anzi antagonisti. Da una parte una signora che annuncia ad alta voce: «Io alla Madonna non chiedo soltanto cose per me ma per tutti voi», in cerca di lode e di affetto. Dall'altra, la sua omologa costretta ad odiare per sopravvivere. Nulla più della fila, dell'attesa, del contatto t'orzato fra sconosciuti mette alla prova la qualità e i vizi dell'umana natura. E? se da una parte i visitatori venivano e vengono divisi su quattro diversi livelli su quattro diverse pedane per poter vedere la Sindone in una penombra violacea, accompagnati da giovani donne che impartivano con voci calde e cortesi ordini perentori e immediati (stringersi, proseguire, ancora un passo, fermi ora, adesso uscire subito....), dall'altra una folla simmetrica e selvaggia si calpestava e i deboli soccombevano ai forti e ai prepotenti, le opere d'arte erano messe a rischio dalle mani e da migliaia di flash che non sono proibiti, e da nuvole di fumo che si levavano da un pubblico giovanile che sembrava essere lì per alcuni esercizi di sadismo e non per visitare il secondo museo egizio del mondo. Se l'ostensione della Smdone sembrava appartenere a un ordinato e rispettoso mondo del Nord, l'esposizione nuziale sembrava una via di mezzo fra Samarcanda e «Arancia Meccanica». Paolo Guzzanti Il mercatino degli oggetti sacri nelle tende bianche non ha l'aria opprimente di un suk Non ci sono malati in attesa di guarigione ma solo alcuni disabili Niente che ricordi Lourdes o Fatima Lungo il sentiero alcuni volontari ti sussurrano angelici e perentori «Spegni il telefonino» che ogni pellegrino ha da percorrere, piede dopo piede, sospiro dopo sospiro, per un'ora e un quarto quando va bene, marciando forzatamente in processione sotto i portici per poi sabre su un camminamento che conduce al Duomo, dove l'attesa snervante si consuma in una stupita e al tempo stesso delusa euforia di 30 secondi davanti alla trama di lino su cui è impressa la sacra o sacralizzata figura. Poi si è subito fuori, espulsi e scaricati dal ventre di quel metabolismo di preparazione e silenzio, vede a Lourdes o a Fatima. Mi dicono che se ne sono visti: esseri umani che si trascinavano in terra, che procedevano carponi pregando, o in ginocchio. Certamente sarà successo e succede, ma non è la regola: questa «ostensio¬ Il volto della Sindone e un gruppo di fedeli davanti al lenzuolo La folla dei pellegrini davanti al Duomo Sopra, turisti in coda davanti al Museo Egizio