Giakarta, ultimatum islamico a Suharto di Giuseppe Zaccaria

Giakarta, ultimatum islamico a Suharto Minacce di scontri già per oggi, il padre-padrone del Paese convoca i vertici militari Giakarta, ultimatum islamico a Suharto «Milioni in piazza mercoledì, vattene finché puoi» GIAKARTA DAL NOSTRO INVIATO Amien Rais è un signore dall'aria severa che nella politica d'Indonesia (dove per politica s'intende quel poco che sfugge agli «affaristi in divisa») ha fama di persona fredda e silenziosa. Per questo le rare volte in cui parla si usa dargli ascolto anche perché come leader del «Muhammadyah», il secondo partito islamico del Paese, controlla quasi venti milioni di voti. Aveva preso la parola una settimana fa per avvertire che l'Indonesia stava per esplodere. Tre giorni dopo, coi primi disordini aveva ammonito l'esercito a non prendersela con cittadini disperati. Ieri ha concluso la trilogia con una vera dichiarazione di guerra: «Mercoledì milioni di persone saranno in piazza, nessuno può garantire che saranno pacifiche. E' meglio che Suharto vada via subito se non vuole che tutta l'Indonesia bruci». Alla vigilia di giorni che si annunciano decisivi, una frase come questa ha il suono inquietante di un ultimatum, evoca la potenza di una maledizione: se gli islamici d'Indonesia insorgono, di questo ex paradiso terrestre rischiano di rimanere in piedi solo i minareti. I musulmani costituiscono l'87 per cento della popolazione, sono 174 milioni. E' una maggioranza disperata che assorbe e rappresenta l'intera area della povertà. Si articola in due partiti principali ed mia galassia di gruppuscoli più volte sospettati (e perseguitati) dal governo dei militari come formazioni terroristiche. Ma non è solo la loro impostazione religiosa a fare paura: in fondo il maggiore partito islamico del Paese resta il «Nadhatul Ulana», quasi quaranta milioni di voti, retto da Abduramman Wahid con toni più che moderati. Quel che davvero inquieta è l'esplosivo miscuglio che gli avvenimenti di questa settimana hanno preso ad agitare,-e,adesso minaccia apertamente di esplodere in una guerra che sarebbe, nello stesso momento religiosa, etìlica e di classe. In Indonesia convivono da sempre in instabile equilibrio centinaia di etnìe, gruppi, religioni, dialetti, storie. Ci sono musulmani, buddisti, cristiani, cinesi, indiani, gruppi autoctoni, portoghesi, discendenti dei coloni d'Olanda, per non parlare della differenza storica e culturale fra Giava e Sumatra e dell'incredibile varietà proposta da quasi tredicimila isole. Una delle rare costanti nella storia sociale del Paese consiste però nella lontananza, nell'odio fra popolazione musulmana e «cukong», esponenti della minoranza di origine cinese, che in genere qui sono di religione cristiana. Abilissimi nei commerci, oggi gestori delle maggiori banche asiatiche, i «cukong» rappresentano il quattro per cento della popolazione indonesiana e gestiscono quasi il novanta per cento delle risorse. Ciclicamente, nella storia dell'arcipelago, quest'odio era esploso in rivolte ed eccidi. Adesso, a Giakarta, nell'era Suharto, a trent'anni dall'instaurazione del Nuovo Ordine, quell'odio è tornato a divampare e adesso trova anche autorevole supporto politico. E' una miccia a tempo, quella che Rais ha acceso ieri: qualcosa che sembra preludere ad un'esplosione di dimensioni incontrollabili. Anche il regime se ne sta accorgendo. Dalle volute di fumo che circondano le decisioni governative filtra la notizia che ieri sera, a sorpresa, l'anziano dittatore ha convocato i vertici militari. Comandante in capo dell'esercito, dell'aviazione, della marina ed anche quelli dei servizi di sicurezza: le manifestazioni popolari che s'annunciano per que¬ sti giorni rischiano di segnare il vero punto di svolta nella crisi. I «milioni di persone» di cui parla il leader islamico si raduneranno dopodomani, 20 maggio, giorno che ricorda la rivolta che nel 1928 spinse i dominatori olandesi fuori dall'arcipelago. Adesso si tratta di spingere lontano ben altri avversari: l'autocrate che controlla ogni ganglio dello Stato, un potere economico che ha spinto l'Indonesia sull'orlo della rovina, l'algido rigore con cui il Fondo Monetario pen¬ sa che tutto possa ridursi ad una questione di conti. Già questa mattina però potrebbero scatenarsi nuove violenze. Se la grande massa degli studenti universitari si muoverà mercoledì, oggi una parte di essi ha deciso egualmente di organizzare un corteo: sono i meno ricchi, quelli dell'«Indo nesian University». Vogliono marciare sull'Assemblea Nazionale. Che ci riescano, è molto difficile. Giuseppe Zaccaria I fondamentalisti fissano la data della rivolta generale in coincidenza con l'anniversario della cacciata degli olandesi ■sjfl

Persone citate: Amien Rais, Rais, Suharto, Wahid

Luoghi citati: Giakarta, Indonesia, Olanda