A Birmingham un giorno di ossessione nucleare di Andrea Di Robilant

A Birmingham un giorno di ossessione nucleare A Birmingham un giorno di ossessione nucleare RETROSCENA UN INCUBO PER I GRANDI BIRMINGHAM DAL NOSTRO INVIATO «E' scoppiata... no, non è scoppiata...». Le voci e le smentite sul presunto test nucleare del Pakistan si sono rincorse per tutta la mattinata creando incertezza e confusione tra gli otti leader del G-8. E costringendo il presidente Clinton a intervenire di persona per cercare di calmare un po' le acque. La giornata di ieri non poteva illustrare meglio il senso di frustrazione e di impotenza degli Otto Grandi - ma soprattutto degli Stati Uniti - di fronte alla crisi nucleare scoppiata nel sub-continente indiano dopo i cinque esperimenti annunciati la settimana scorsa da New Delhi. «Ancora non c'è stato», ha detto Clinton dopo aver convocato un gruppo di giornalisti per commentare il presunto test pachistano. «Lo affermo sulla base di ciò che sappiamo. Ma so che la questione è ancora oggetto di discussione da parte del governo del Pakistan. E so che Islamabad è sotto estrema pressione, bisogna capirli». La giornata era cominciata male, con un dispaccio dell'Ansa che, citando fonti indiane, annunciava la notizia che il Pakistan aveva condotto il test. Il governo pachistano smentiva immediatamente. Ma ormai le voci erano fuori controllo, rimbalzavano da ogni continente e finivano per intrecciarsi alla rinfusa mentre gli Otto Grandi si riunivano a Birmingham per concludere il vertice. Il presidente russo Boris Eltsin rilanciava sostenendo che il test c'era stato. A quel punto i leader si sono messi in contatto con i rispettivi servizi d'informazione. Alcuni confermavano, altri smentivano. Clinton, sentiti i suoi consiglieri, assicurava che non c'era stata alcuna esplosione. Ma il fiasco della Cia con i test indiani la settimana scorsa costringeva perfino il Presidente a cautelarsi («... sulla base di quel che sappiamo»). Nemmeno l'uscita di Clinton chiariva del tutto la situazione. Il governo di Islamabad dichiarava alla Reuter che la risposta del Pakistan all'India era quasi certa. E diceva all'Associated Press che non si trattava più di decidere se fare il test, ma quando farlo. Ma a quel punto è stato Clinton a rilanciare, deciso a cogliere l'attimo d'incertezza che sembrava essersi insinuato: «Ho ancora la speranza che il primo ministro e il governo pachistani decidano di rinunciare al test nucleare. E credo che possiamo lavorare insieme per venire incontro alle loro esigenze di sicurezza. La statura del Pakistan risulterebbe enormemente accresciuta nel mondo intero se il governo avrà (e qui si è fermato qualche secondo per cercare la parola giusta, ndr) il coraggio di rinunciare al test». Incalzato dai giornalisti, Clinton ha ag- fiunto: «Credo che se il Paistan rinuncerà otterrà benefici politici, economici e di sicurezza molto specifici. E intendo lavorare per questo». Più tardi Strobe Talbot, spedito dal Presidente a Islamabad per sondare i pa- chistani, ha aggiunto: «A quanto ci risulta una decisione non è ancora stata presa. Il loro dilemma è complicato e difficile, la discussione in corso matura e sofisticata». Insomma, dopo la confusione e l'incertezza di ieri, gli americani cominciano a pensare che il peggio è forse passato, che il rischio di un test è ancora molto presente ma che i pachistani non intendono rispondere immediatamente. E che dunque c'è ancora tempo per un intenso lavoro diplomatico nei prossimi giorni teso a scongiurare una corsa al riarmo nucleare e una guerra fredda in Asia. Una cosa è certa: non sarà la fornitura di qualche1 aereo e altre attrezzature militari a far desistere il Pakistan. Lo stesso Talbot ha spiegato: «Ci hanno detto in modo molto esplicito che nessuna bacchetta magica risolverà questa crisi». E in serata il portavoce del governo pakistano Mushaid Hussain ha detto con tono stizzito che non sarà certo la consegna di 28 F16 a cambiare la situazione (quei caccia, bloccati dal Congresso americano, sono già stati pagati dal Pakistan). «Non risponderemo di rimando alla provocazione dell'India. Piuttosto, vogliamo continuare a seguire la reazione della comunità internazionale». La reazione del G-8 è stata indubbiamente deludente per i pakistani. Ma la partita non è finita. E Islamabad dà la sensazione di voler seguire ancora per un po' gli sviluppi diplomatici prima di premere il bottone. Andrea di Robilant Nella foto grande a sinistra il cratere aperto da una delle bombe atomiche indiane nello Stato del Rajastan. Qui accanto il capo del programma nucleare indiano, K. Santhanam e (sopra) manifestanti pakistani bruciano una bandiera americana a Karachi [FOTO AP-REUTER]

Persone citate: Boris Eltsin, Clinton, Hussain, Strobe Talbot