Nord-Ovest, l'ultima trincea della Lega di Cesare Martinetti

Nord-Ovest, l'ultima trincea della Lega Sedici liste in gara, anche una di soli liceali. Cornino: qui vive ancora il vecchio sistema Nord-Ovest, l'ultima trincea della Lega A Cuneo il «Jurassic Park» della de CUNEO DAL NOSTRO INVIATO Si vota in maschera: il Polo non si chiama Polo, l'Ulivo non si chiama Ulivo, la democrazia cristiana è morta, viva la dicci e soprattutto viva i democristiani. Due di loro, ex sindaci, sono candidati; un altro, sindaco uscente, viene dal pri, ma con i de ha convissuto a lungo nei tempi del pentapartito. E la Lega? Qui a Cuneo, dove pure due parla. mentali su due sono di Bossi, dove sei anni fa l'armata del colonnello Cornino è partita all'assalto del vecchio sistema, la Lega celebra il suo impotente paradosso: tanti voti, zero potere. L'agronomo Domenico Cornino, leader locale, dalla sua casa di Morozzo dove sei anni fa celebrava l'exploit elettorale invitando mezzo paese a mangiare agnolotti e annunciando l'offensiva leghista sulla Coldiretti, ora ammette: «La battaglia è in corso, noi siamo cresciuti, siamo la prima forza politica, abbiamo gettato il seme di una conifera che prima o poi germinerà. Ma il sistema è bloccato e sopravvive un'anomala continuità della de». Eppure la Lega aveva provato a dialogare e a partecipare, era entrata nelle giunte, di Cuneo, città e provincia, di Alba e Savigliano. A Mondovì aveva persino eletto il sindaco. Poi l'hanno cacciata per la pregiudiziale «anti-secessionista», altro bel paradosso dei leghisti di qua, più pragmatici, pochissimo secessionisti, moltissimo sospettosi delle liturgie pagane di Bossi, venuto qui sopra, al Pian del Re a raccogliere l'acqua del Po. Figurarsi! Eppure, proprio per questo, espulsi dal potere. Ha un bel dire Cornino che i suoi ex assessori non si sono «contaminati», che hanno fatto «il loro dovere», che «nessuno ha abbandonato la Lega» per attaccamento alla poltrona. Ma la scalata al sistema c e stata ed è fallita. Nel consiglio d'amministrazione della Cassa di Risparmio per esempio - la Lega c'è arrivata, eccome. Ma quando ormai la banca non era più la vecchia Cassa che distribuiva soldi e perpetuava il consensi* ora si chiama Banca Regionale Europea, decide a Milano e sta cambiando natura per adeguarsi all'Europa che avanza. I leghisti sono arrivati nella stanza dei bottoni, quando non c'erano più i bottoni. Si dice che l'80 per cento degli iscritti alla Coldiretti voti Lega; ma la Coldiretti - nonostante Cornino - è sempre lì, disconnessa dai vincoli di partito, però viva e prospera come prima. Andiamo nella sede di questa ex cinghia di trasmissione di potere e di consenso alla de. Qui fino a pochi anni fa si eleggevano almeno 9 consiglieri comunali e due erano gli assessori di diritto. Qui Natale Carlotto, anziano e signorile, parlamentare per cinque legislature, misuratore di stati d'animo contadini, detentore dei segreti de, ci racconta il suo disagio: «Mi sento un po' come un vecchio zio confinato in soffitta a guardare dall'alto i nipoti in cortile che litigano per spartirsi l'eredità». Eredità difficile, da spartire e da definire. E' la rappresentanza politica del «moderatismo» che, dice Carlotto, «non è una moda, ma un valore», è quel ritegno a «non esporsi mai troppo», è lavoro, concretezza, cuneesità. E' quella colla che li ha tenuti insieme per cinquantanni, che non ha riferimenti nazionali (dov'è un Grande Centro?) e se n'è ricostruito uno locale, come alla Provincia dove il presidente Quaglia, grande navigatore democristiano, persa la Lega, governa tenendo insieme tutte le anime ex de, con il pds e con qualche voto di Forza Italia. Liberismo e solidarietà. «Moderatismo» come attitudine politica, culturale, sociale e, per natura, governativa. Guardano all'Ulivo non per simpatie di sinistra - ovvio -, ma per dialogare con chi comanda. Il candidato dell'Ulivo è il sindaco uscente, Elio Rostagno. Ma la parola Ulivo non c'è: qui si dice «Cuneo viva». Nemmeno Verdi e Rifondazione, che sostengono Rostagno, si chiamano col loro nome, ma si sono ribattezzati «Cuneo eco-sociale». Un altro ex sindaco de, Guido Bonino, ha personalizzato anche la sigla di Berlusconi: «Per Bonino Forza Italia». L'altro ex sindaco de, Beppe Menardi, corre con «Grande Cuneo» e «Cuneo progresso». Ci si muove nella pohtica cuneese come in un Jurassic park dove i dinosauri, dopo lo choc del trapasso democristiano, si sono autorianimati naturalmente senza bisogno di alcun demiurgo, metabolizzando persino le denunce della Lega che si ritrova isolata a gestire il rancore dei fondovalle, che pone problemi veri, ma che li sa tradurre in pohtica solo nell'obbedienza ideologica alle negromanzie del capo. E che presenta candidato a sindaco di Cuneo un signore, Claudio Dutto, che l'altra sera, al teatro parrocchiale di Spinetta, s'è presentato così: «Sono un bancario in aspettativa e ho una piccola passione: le ferrovie. Collaboro con una rivista...». In quella stessa circostanza, peraltro, il supercandidato ulivista Rostagno, s'è lanciato nella solenne promessa: «Cercheremo di governare senza troppi compromessi». Oltre alla Lega, le liste sono sedici, nove i candidati sindaci, seicentotrentanove in corsa per un posto in Consiglio comunale. Uno ogni .settantadue abitanti. Tutti i cuneesi hanno almeno un parente o un amico che corre. Un bamum frammentato e inestricabile, senza estremismi, tutti tendenti al centro. Un centro affollato che riproduce la ragnatela della de e dell'universo che le orbitava intorno. Per trovare davvero delle facce nuove, bisogna cercare nella lista «Connubio giovanile cuneese» formato niente meno che da liceali, Candidato sindaco Marco Bertone, quinta liceo scientifico, «né di destra, né di sinistra». Un ragazzo simpatico che dei suoi avversari dice semplicemente: «Li abbiamo già visti e non si sa di chi fidarsi: in questi anni hanno fatto tanti voltafaccia...». E' il pulviscolo prodottò da quel big-bang innescato dalle elezioni 1992, ultime dell'«era de» e prime della «mancata era» leghista. Beppe Menardi, estremo sindaco scudocrociato, assistette allo spettacolo dal suo ufficio: «Ho visto le famiglie spaccarsi e non è stato bello». Menardi, adesso, s'è fatto la sua Usta sfidando le maschere di Polo e Ulivo e disvelando senza ipocrisia l'astrattezza del modello bipolare calato su Cuneo: «Da solo? Sì, corro da solo perché non mi riconosco in nessuno. In questi anni ho visto troppi vecchi camaleonti inseguire di volta in volta i vincitori. Disprezzo il bluff di chi è stato al potere e ora dice di essere nuovo, credo che si debba parlare delle cose da fare, innanzitutto collegare la città con il resto del mondo». Strade, vie, reti, trasporti, tutto ciò che si chiama «infrastrutture». A Cuneo non si arriva in autostrada, ma attraverso dolorose vie crucis provinciali. Eppure la città è capitale di una zona con un'economia da «nordest»: mezzo milione di abitanti, 80 mila imprese, il 4 per cento del Pil (il prodotto) italiano, disoccupazione ai mmimi. C'è un'economia formicolante e ci sono aziende che lavorano ed esportano eccellenza nel mondo. La sfida ulivista è quella di connettere la balena del moderatismo cuneese alla sinistra, riproducendo il paradosso italiano: un Paese a maggioranza moderata governato da un centrosinistra che ha bisogno di Rifondazione. E' quel processo che l'avvocato Gazzola di Mondovì ha raccontato ne «La battaglia di Little Big Moon», appena pubblicato, metafora leghista della vita pohtica nella prateria cuneese: «In origine due sole erano le tribù pellerossa: i Piedi Rossi e la Democrazia Comancia (dc)...i grandi capi si erano spartiti equamente i territori... decisero di allearsi ufficialmente e fondarono la tribù mista delle Balene Rosa». Avversari del grande patto, la tribù dei Bufali Verdi del Nord che, alla fine, non si alleano con nessuno. Vinceranno le Balene Rosa? Rosa, forse. Balene, comunque. Cesare Martinetti ?4 MAGGIO//' GIUGNO VERSO IL VOTO A Cuneo il «Jurassi Qui accanto piazza Duccio Galimberti *v il «salotto» di Cuneo