Come un campo profughi l'aeroporto «Sukarno»

Come un campo profughi l'aeroporto «Sukarno» Come un campo profughi l'aeroporto «Sukarno» GIAKARTA DAL NOSTRO INVIATO Quella di un aeroporto intasato da gente che tenta di fuggire è immagine che comincia a farsi classica nei moderni resoconti delle crisi. Eppure, trovarsi oggi nella grande sala dello scalo intitolato al principe Sukarno è qualcosa che impressiona. Saranno forse tremila le persone che da ore - in qualche caso da giorni - bivaccano in questa costruzione aspettando un pezzettino di cartone, quello che li porterà via da un Paradiso che di colpo si è trasformato nel suo contrario. Una carta d'imbarco per non importa dove. Tre giorni fa questo aeroporto era popolato soprattutto da cinesi che cercavano di fuggire da un Paese che li rifiutava. Oggi la rappresentanza etnica è molto più variegata: biondissime olandesi che con biondissimi figli dormono sulla plastica nera dell'impiantito, proprio dove prima che scoppiasse la crisi sostavano povere russe in cerca di fortuna. Famiglie tedesche che se la prendono con la «Lufthansa», che non accetta prenotazioni dell'ultimo momento e fa partire un «Jumbo» con molti posti vuoti, nonostante il dramma che si sta consumando. Qualche italiano che ha smesso di credere nello stellone. Giuseppe Andena, 56 anni, da Feltre, è uno di questi. Commerciava in materiale elettrico, sta cercando di partire, lascia una seconda famiglia con due figli dagli occhi scuri e i capelli biondi. «Mi raggiungeranno al più presto, farò tutto il possibile: certo è che loro se la caveranno, mentre per noi occidentali sta cominciando una fase terribile. Ci prendono tutti come simboli di un potere che li sta schiacciando...». Il povero Andena preso come simbolo: lui, che nonostante la pancia e i capelli grigi acconciati a codino sta cercando di spiegare ad un funzionario della «Garuda» come gh italiani, in fondo, siano così simili alla gente d'Indonesia, così amichevoli, così indonesiani da meritare una carta d'imbarco preferenziale. Partono i «charter» americani: due voli destinati solo al personale dell'ambasciata. Partono i «charter» per l'Australia: in teoria, do¬ vrebbero trasportare ventimila persone, la maggiore componente straniera di tutta l'Indonesia. Da Sydney, l'intero governo ed i generali premono perché Giakarta autorizzi l'atterraggio di voli militari. Il primo ministro annuncia in tv che se il consenso non sarà dato, l'Australia potrebbe decidere autonomamente di salvare i suoi cittadini. Manca ancora il supporto italia¬ no, ma sarà per poco: questo pomeriggio, alle 17 (da noi, l'ora di pranzo) un volo speciale fissato dall'ambasciata porterà via da questo paradiso in rivolta circa 140 persone, in massima parte funzionari del settore petrolifero e finanziario, con le loro famiglie. Siamo gli ultimi ad andarcene dall'Indonesia: dev'essere proprio il segno di qualcosa che sta crollando. [g. z.l F lina cittadina americana firma i documenti per la partenza

Persone citate: Andena, Giuseppe Andena, Sukarno

Luoghi citati: Australia, Feltre, Giakarta, Indonesia, Sydney