LE DEMOCRAZIE A RISCHIO DI VILTA'

LE DEMOCRAZIE A RISCHIO DI VILTA' L'EUROPA E IL PERICOLO DEGÙ ESTREMISMI LE DEMOCRAZIE A RISCHIO DI VILTA' APPARENTEMENTE la disputa è antiquata: ci riguarda solo da lontano. E' una disputa sulla guerra civile in Spagna, sul significato che ebbe come preparazione all'ultima guerra, sulla sconfitta eroica di una Repubblica di sinistra, sulla vittoria dell'autoritarismo fascistoide che s'incarnò nel franchismo. Diverse tesi si oppongono sui giornali italiani, che di per sé non sono del tutto nuove. Lo storico Sergio Romano elogia la lungimiranza di Franco e la lotta di Edgardo Sogno a fianco del Caudillo, sostenendo che solo in questo modo la Spagna potè risparmiare a se stessa l'esperienza di una democrazia popolare: la prima esperienza di questo genere nel continente, prima della sovietizzazione di mezza Europa nel '45. Gli risponde Mario Pirani su Repubblica del 13 maggio, negando questa potenziale degenerazione del Fronte Popolare e protestando contro la frantumazione del mito spagnolo: la guerra fu caratterizzata da repressioni sanguinose contro trotzkisti e anarchici, ad opera dei comunisti e del Komintern, ma non per questo fu un conflitto tra due estremismi, tra fascismo e comunismo. Fra il '36 e il '39 fu collaudata la resistenza antifascista, ed essa non può esser giudicata al di fuori di quel che allora stava effettivamente avvenendo, in Europa: non un golpe bolscevico, non una prima espansione sovietica, ma invece una vasta Conquista di Hitler e Mussolini. «La guerra civile fu un'anticipazione della seconda guerra mondiale, e fu la prova - allora fallita - della coalizione di forze e di sentimenti che vinse poi la partita nel confronto con il nazifascismo». Certamente fu anche questo, la guerra di Spagna: fu una resistenza disperata, condannata alle catastrofi di Guernica e al finale naufragio. Ma non fu solo questo, come testimoniano ormai troppi libri storici, troppe ricerche d'archivio in Spagna, troppe autocritiche di ex combattenti repubblicani. Si può chiamare revisionistica o di destra ogni ricerca di verità - alla fine di questo secolo di guerre totalitarie - ma le verità restano quelle che sono, e così i fatti narrati da testimoni o archivi spietati. Le commemorazioni estati¬ che soffrono questa intrusione dei fatti, queste porte infine socchiuse su errori e omissioni. Le commemorazioni venerano il passato, nel suo statico splendore: sono agli antipodi della memoria impietosa, falsificatrice. Quando la memoria si erge contro i culti commemorativi si sfalda quella che Nietzsche chiamava la Storia intesa come decorazione della vita: che «sempre e solo parla ripetendo, imitando, e non è che dissimulazione, velame, ornamento che nasconde la cosa ornata» {Sull'utilità e il danno della storia per la wte-Adelphi 73,pag.99). E" quel che tentò di fare Orwell, nel suo malinconico «Omaggio alla Catalogna». Combattente a fianco dei repubblicani, lo scrittore prese atto fin dal '36-'37 che un «regno di terrore» staliniano si stava instaurando, soprattutto in Catalogna e nelle Asturie. Orwell parla di metodi da Ghepeù o Gestapo, di «pogrom politici contro trotzkisti e anarchici», di dittatura proletaria, di staliniane censure, di carceri che «si riempivano dei ceti più poveri della popolazione operaia», co me peraltro succedeva nei Gulag. E' quello che disse anche un prestigioso storico spagnolo, Claudio Sànchez Albornoz, ex Presidente del governo repubblicano in esilio: «Il mio fondamentale antifranchismo non mi impedisce di riconoscere che Franco salvò la Spagna dal comunismo». Prendendo la parola alla radio spagnola, nel 76, Aleksàndr Solzenicyn ammise la potenza del mito spagnolo, ma sottolineò le differenze tra franchismo e totalitarismo so vietico, e denunciò «la formida bile capacità di illusione» che la guerra civile aveva suscitato nelle gioventù socialiste. Gli archivi dell'Intemazionale rivelano infine il trattamento riservato i 3000 bambini fra i 3 e 15 anni trasferiti in Urss dopo il tracollo di Guernica e di altri bastioni re pubblicani: rinchiusi in orfano trofi, indottrinati, ridotti alla fame, a malattie mortali, trascinati da Leningrado a Mosca, e poi nel Caucaso, in Asia centrale, in Georgia, chiusi nei gulag quan do imploravano il ritorno, come Barbara Spinelli I CONTINUA A PAG. 10 PRIMA COLONNA