LA VITTORIA DEI LETTORI COMUNI

LA VITTORIA DEI LETTORI COMUNI OMBRE E SPERANZE LA VITTORIA DEI LETTORI COMUNI MI è molto difficile - scusate la prima persona, ma qui è davvero necessaria scrivere una piccola introduzione all'undicesima edizione del Salone. Tornare ad essere semplice visitatore, come auspicava qualche mese fa Beniamino Placido, non è facile per chi al Salone abbia per qualche anno dedicato energie e tempo. Soprattutto, non è facile ora che tutti parlano di una crisi irreversibile: nessuno può permettersi di fare il grillo parlante, le manifestazioni - è una convinzione seria e non diplomatica nel corso degli anni vivono alti e bassi, assomigliano alle cose e alle persone, e chi guarda dal di fuori può al più auspicare che tutto vada per il meglio. Credo che molti lettori comuni non abbiano nemmeno compreso cosa al Salone sia accaduto: il suo inventore e patron, Guido Accornero, sembra contemporaneamente decaduto e in auge, gli editori espositori sembrano in calo ma in realtà crescono in numero, le autorità locali che presiedono al controllo della manifestazione la ritengono centrale - giustamente - per il futuro della città, ma agiscono per fasi staccate, azionando la retromarcia prima di saper che direzione prendere. Il Salone è una macchina complessa, fatta di lavoro quotidiano, che deve rispondere ad una molteplicità di interessi talvolta in rotta di collisione tra loro. Per Torino, è il simbolo di una rinascita cominciata nel 1988; per gli editori, è una fiera che dovrebbe allargare un mercato esangue, al quale loro stessi non sanno dare risposte coerenti e omogenee. Per un grande editore Torino è poco più che una vetrina, per un piccolo editore continua ad essere una delle poche occasioni in cui contattare un pubblico un po' allargato e diverso dal frequentatore delle librerie. Per Torino, il Salone è l'occasione per riportare con forza in città l'attenzione delle autorità nazionali, per fare della cultura il grimaldello verso un futuro imprenditoriale non roseo. Per gli editori, di saloni ne servirebbero venti, uno in ogni Regione, perché le vendite in libreria ristagnano, e una grancassa che smuova scuole e insegnanti, quotidiani e radio certo male non fa. Dovrebbe essere gratis. Per gli espositori e per la città. Lo faremo pagare allo Stato, come avviene per la Biennale di Venezia? Ci stuferemo del Salone, del suo inebriante profumo di libri? Riusciremo a portare più visitatori dal resto d'Italia, grazie anche alla Sindone e al Papa? Da dieci anni, si sente lo stesso ritornello. Ma poi il lettore comune vince. Sente il richiamo e va al Lingotto. E dimostra che per quei giorni giustizia è fatta. Siete voi lettori l'unica cartina di tornasole per il Salone. Date il vostro giudizio. Scrivete, se avete qualcosa da dire. Altrimenti, se qualcuno penserà che il Salone non vi interessa, potrebbe avere ragione. Ditelo anche agli imprenditori cittadini, alle altre forze culturali, agli scrittori e ai librai: lo vogliono, questo Salone? Se sì, battano un colpo. Paolo Verri

Persone citate: Beniamino Placido, Guido Accornero, Paolo Verri

Luoghi citati: Italia, Torino, Venezia