Storie di città

Storie di città Storie di città GIOVEDÌ' 7 maggio «Specchio dei tempi» ha pubblicato la lettera di una lettrice che lamenta l'impunità dei ciclisti che viaggiano in città e chiede: «Perché i vigili permettono che le biciclette transitino impunemente nei viali, sui ponti, sotto i portici di via Po o piazza Castello con rischi per anziani e bambini? Oltretutto non si sono spesi centinaia di milioni per allestire le piste ciclabili dove gli appassionati possono dare sfogo al loro bellissimo sport?» Confesso che, come ciclista inveterato, mi sono sentito chiamato in causa e mi sono riconosciuto nell'efficace ritratto della gentile lettrice. E' vero: quando vado in bicicletta «transito impunemente sui ponti»; ho bensì chiesto che mi allestissero una bicicletta anfibia per guadare i fiumi ma si sono rifiutati di farmela. Il fatto è che la bicicletta, nelle città soffocate dalla morsa delle auto e dei divieti, dà a chi le usa un inebriante senso di libertà e di onnipotenza. E' vero che esistono le piste ciclabili ma sono diventate piste per cani alla Crocetta o per maratoneti attorno a piazza d'Armi; in corso Duca degli Abruzzi le radici degli alberi gonfiando l'asfalto ne hanno fatto una pista per fuoristrada. E poi vuoi mettere l'esaltante sensazione che si prova quando si sorpassano venti auto ferme al semaforo rosso scavalcandole sulla destra? In quei casi c'è sempre un passeggero che, stufo di attendere, dice a chi sta alla guida: «Io scendo qui e proseguo a piedi così arrivo prima», e così di¬ cendo, spalanca lo sportello. Così tu e la tua bici ci finite dentro in pieno. Perché hanno messo davanti all'ingresso del teatro Regio l'artistica cancellata di Mastroianni? Semplice, perché è perfetta per legarci la bici, mentre gli spettatori che arrivano in auto vagheranno ore per trovare un posteggio; finiranno per lasciarla a San Mauro e venirsene a piedi. Una sera, uscendo dal Regio, abbiamo scoperto che durante le sei ore dei Maestri Cantori di Richard Wagner, la neve aveva ricoperto la città: che fare? Lasciare la bicicletta in custodia a Mastroianni? Per cosa li hanno costruiti a fare i portici di piazza Castello, via Roma e via Sacchi? Noi ciclisti voghamo più portici, non più piste ciclabili. Con questa mia mania di legare la bicicletta ai cancelli, una volta ho bloccato per ore, senza volerlo, quello del Consorzio per il Sistema Informativo di corso Unione Sovietica. Non volete che leghiamo le bici ai cancelli? Dateci delle rastrelliere, come esistono nelle civilissime città dell'Emilia Romagna. Un giorno, per protestare con¬ tro la mancanza di rastrelliere nelle stazioni di Torino, legherò la mia bici a un treno. La verità è che, in una città dove è normale che- una famiglia di quattro persone disponga di quattro automobili, tutti, vigili compresi, si vergognano di prendersela con uno che è così sfigato da ridursi ad andare in bici; sarebbe come sparare contro la Croce Rossa, persino ai semafori gli extracomunitari non si offrono di lavarti i vetri degli occhiali; a Torino non c'è sede istituzionale dove ti impediscano di parcheggiare la bici; mentre la lasciavo nel cortile del Palazzo di Città un vigile mi ha implorato: «Per favore almeno non me la metta attaccato alla macchina del sindaco». C'è però il rovescio della medaglia: se sei in bici perdi ogni credibilità; di sera i travestiti ti scambiano per un metronotte e quando mi presentavo in bici all'ingresso di servizio dello stadio comunale per le riprese della partita, i guardiani si facevano mostrare il tesserino della Rai, lo esaminavano a lungo e alla fine io potevo entrare ma la bici no; se mi fossi presentato con l'auto di servizio si sarebbero inchinati fino a terra. La relativa impunità di cui godiamo oggi noi ciclisti è dovuta secondo me al fatto che siamo in pochi e, nella capitale dell'automobile, sembriamo più che altro una specie protetta. Un tempo, quando la rarità era appannaggio delle automobili e i ciclisti erano una moltitudine, non era così. Raccontano le cronache che verso l'imbmnire del giorno 7 novembre 1941, in pieno periodo bellico, il brigadiere dei Reali Carabinieri Giovanni Isaia intimò l'alt al ciclista Ernesto Casalegno poiché «era sprovvisto di fanale acceso», ovvero, diremmo noi, «viaggiava al buio con il fanale spento». Senonché il nostro sfortunato fratello ciclista crede che il brigadiere l'abbia fermato per controllare il contenuto del portapacchi e subito confessa che là dentro c'è del pane acquistato presso la panetteria Ferrerò «senza i prescritti tagliandi della tessera annonaria». Non contento del bel disastro che ha combinato, il Casalegno, nel tentativo maldestro di tirarsene fuori, peggiora ancora la situazione: paga le 10 lire e 20 centesimi per la contravvenzione relativa al fanale spento e offre in regalo 100 lire all'onesto brigadiere per non essere denunciato per la faccenda del pane. Risultato: una condanna a un anno e quattro mesi di prigione, 2000 lire di multa e 100 di ammenda. Ecco perché come ciclista non me la sento di rimpiangere i bei tempi passati.

Persone citate: Casalegno, Ernesto Casalegno, Giovanni Isaia, Mastroianni, Richard Wagner, Semplice

Luoghi citati: Emilia Romagna, San Mauro, Torino