IL MITO? UN VORTICE CHE TUTTO TRAVOLGE

IL MITO? UN VORTICE CHE TUTTO TRAVOLGE IL MITO? UN VORTICE CHE TUTTO TRAVOLGE Elemire Zolla: «Rende esplicito l'inconscio » europee». L mito? Mi lascia freddo». Parola di Elemire Zolla, nella sua casa di Montepulciano dove sugli affreschi «borghesi» di un teatrino ottocentesco che si rincorre per i muri si accumulano gli oggetti dell'Oriente, vasi, statue, mobili dalla Thailandia alla Cina, dal Giappone all'India. Il grande studioso che ha esplorato spiritualità e tradizioni, misticismi, occultismi, alchimie e naturalmente mitologie del nostro e dell'altrui mondo sembra volersi schermire, con un'affermazione che, oggi, suona addirittura controcorrente. In bocca a lui, poi... Viene il dubbio di non aver capito bene. Davvero Zolla non ama il mito? «Davvero. Nel senso che non provo amore per un mito. Tento di spiegarlo, però in se stesso non mi affascina. Noto la sua struttura, e la trovo di un'importanza colossale. Il mito è una sorta di vortice dove tutto viene travolto: la letteratura, la religione, la politica, cose diversissime tra di loro. E questo vortice penetra nell'inconscio. Proprio come nella celebre descrizione del Maelstròhm che fornisce E. A. Poe. L'inconscio diventa esplicito grazie al mito». Beh, questa è una modalità abbastanza particolare di non-amore... «Guardi che nel nostro secolo sono stati imposti anche miti spaventosi, come il comunismo o il nazismo. Quest'ultimo poi, si è affermato in pochi mesi. Perché qualcuno ha saputo parlare all'inconscio di tutti i tedeschi». Lei ritiene perciò il mito una forza potentissima e pericolosa, da tenere a bada? «Perché mai. Se parla l'inconscio, non possiamo farci mente. Una volta che un mito si sia installato è molto difficile muovere delle critiche diciamo così razionali. Con tutto che anche il ragionare è pericolosissimo». " Zolla non vuole dare giudizi di valore. E neanche giudizi «estetici». Però una descrizione, una definizione, questa sì. Se il mito ci pervade, come possiamo dargli un nome? «E' un linguaggio universale. Linguaggio, non lingua. E come tale permette di enunciare la propria filosofia, la propria percezione del mondo in maniera efficace». Lei ha fatto l'esempio del nazismo. Se ne può dedurre che non ritenga quindi che nella nostra modernità il mito sia per così dire depotenziato, degradato. Che sia rimasto come una grande ombra. «No. Continua a funzionare come ha sempre fatto, è forte come sempre. Talvolta mi sorprende che ci sia un minimo di mito persino intorno alla nozione di Europa, e che sia efficace, che abbia un po' impregnato l'inconscio delle masse europee». Ne parla quasi come se ritenesse augurabile il poterne fare senza. Il poter vivere senza mito. «No, è impossibile. E' un linguaggio di cui non s'è mai fatto a meno. Ho l'impressione che se per assur- do potessimo cancellare il linguaggio mitico, non ci rimarrebbe altro che quello della scienza - fra l'altro, incapace di penetrare nell'incoscio. E francamente la prospettiva di una vita dove ci sia solo il linguaggio paramatematico è un invito ad ammazzarsi...». Mi pare che la conclusione sia che abbiamo bisogno del mito, allora, della sua forza terribile, del suo potere di seduzione, di cui lei pure, personalmente, sembra diffidare. «Io dico semplicemente che siamo semmai sedotti e affascinati: non dal mito in se stesso, ma da ciò che il mito dice, da ciò che dice del nostro inconscio». Come una sorta di autoanalisi collettiva? «No, attraverso la sua struttura, i suoi motivi. Il mito del resto si può definire in tanti modi. Nel nostro secolo è stato preso come un oggetto, soprattutto dai linguisti formali della scuola di Praga. Per primi hanno tentato di analizzarlo, scomporlo come fosse appunto un oggetto naturalistico. Dalla Praga di Jakobson alla Russia di Vladimir Propp». Il celebre studioso di «Morfologia della fiaba» che ha aperto la via alle indagini strutturali. «Lui definisce il mito come una struttura di motivi». E impone un atteggiamento destinato a durare per tutto il secolo? «Certo fa dimenticare la grande scuola di Lipsia, che si basò anch'essa sui "motivi" del mito, ma con un atteggiamento non ideologico. L'idea nacque studiando la civiltà Babilonese, e fu peraltro molto contrastata dai cristiani tedeschi. C'era uno slogan: "Babel gegen Bible" Babilonia contro la Bibbia. Li accusavano di "panbabilonismo" perché magari interpretavano i miti dell'Oceania rapportandoli all'astrologia babilonese. Ma proprio l'individuare i motivi del mito, considerare il mito come addizione di motivi, ci permette di decifrarlo, di vederlo come un problema risolubile». E di capire come sia appunto un linguaggio universale, dove gli stessi motivi del mito solare giapponese di Amatarasu possono ritrovarsi in civiltà remote e diversissime? «Uno studioso della scuola di Lipsia, C. Fries, dedicò un grande lavoro a Ulisse, riconoscendo in lui, attraverso i "motivi" del suo mito, appunto, la figura dello sciamano. E' un libro dimenticato, ma importante. Ci rivela Ulisse come grande sciamano dell'Occidente. E' solo un esempio per dire che le premesse per capire come il linguaggio mitico sia universale ci sono. Anche se nessuno è in grado di fornire la descrizione di come i miti si combinino nel mondo, perché sono troppi, hanno dimensioni e vastità che è forse impossibile padroneggiare». Il mito si rifiuta a una mappa. «Nel mito so che a un certo punto mi debbo fermare. So però anche che 0 gioco è tendenzialmente infinito». Mario Baudino «Se per assurdo, potessimo cancellare il linguaggio mitico, non ci rimarrebbe che quello della scienza, incapace tra l altro di penetrare nell'inconscio». Elemire Zolla «Nel nostro secolo ne sono stati imposti anche spaventosi, come il comunismo o il nazismo. Quest'ultimo poi, in pochi mesi» «Una volta che si è installato è difficile muovere delle critiche razionali, con tutto che anche il ragionare è pericolosissimo»

Persone citate: Babel, Elemire Zolla, Jakobson, Mario Baudino, Vladimir Propp

Luoghi citati: Cina, Europa, Giappone, India, Montepulciano, Oceania, Praga, Russia, Thailandia