UN PACIFISTA VA ALLA GUERRA

UN PACIFISTA VA ALLA GUERRA UN PACIFISTA VA ALLA GUERRA Fra gli orrori dell'ex Jugoslavia LA GUERRA N CASA Luca Rastello Einaudi pp. 276 L. 24.000 A prima cosa che chi entrò in Vukovar dopo la resa vide nella prima casa che visitò, fu un uomo inchiodato a un muro e una bambina morta su un tavolo, senza occhi, gli occhi erano lì accanto dentro un bicchiere. Non citerò nessun altro esempio come questo anche se il libro che ho qui davanti ne è pieno, anzi già citando questo ho fatto qualcosa che il lettore non sopporta. Non ripeterò l'errore, e non seguirò dunque passo per passo Luca Rastello nel suo libro che è insieme storia e autobiografia. Rastello è il direttore editoriale del mensile «Narcomafie», pubblicato dal gruppo Abele. Come può fondere un pezzo della propria biografia con pezzi della storia jugoslava? Ecco: lui vive e lavora a Torino e la storia della disgregazione jugoslava è arrivata fin lì, con i profughi che avevano bisogno di una stanza, vitto, ascolto. Il libro è una sequenza di lunghi lampi: i ricordi dei protagonisti che il narratore incontra, vittime o carnefici. I carnefici son vittime fabbricanti di vittime. Gli squarci di testimonianze sono fulmini che illuminano lo scenario della guerra. Appena un fulmine brilla, l'autore spinge lo sguardo su quello scenario: e passa a descrivere la grande storia, così come dovrebconcetto che torna spesso) da grande storia, così come dovrebb'essere esposta in un testo per le scuole. Ma dei due piani (testimonianza e storia), il secondo conta meno, e infatti è stampato in corpo minore. La novità del libro sta in quei bagliori, ognuno dei quali illumina una verità. Una verità che neanche coloro che ce la consegnano (i traumatizzati, gli impazziti) vorrebbero conoscere. Vivere e conoscere quella verità sono due contrari, il secondo impedisce il primo. Il cecchino di Vukova di nome Darko aggiunge ai tanti sensi simbolici del cecchino qualcuno che non avevamo mai intuito, ma che probabilmente c'è sempre stato. Il narratore ospita un cecchino nella propria casa a Torino, ma è stato ospite in Jugoslavia nella casa da cui un cecchino sparava: ha visto la poltrona, le armi, i posters sul muro, le bottiglie, i giardini che facevano da bersaglio. A monte del cecchino serbo sta il serbo vittima, che ha visto i cadaveri dei serbi massacrati a carrettate. Il cecchino è il sadico che aggiunge un nuovo millimetro al sadismo che ha patito. E così spingerà un millimetro più avanti il bisogno di vendetta delle sue vittime. La guerra in Jugoslavia è questa catena che comincia quando nessuno se l'aspetta (ogni testimonianza parte quando la catena è già partita) e va al di là del limite che ognuno prevede. Izmet è un bosniaco che torna in patria in aereo come un turista e viene ingoiato dalla macchina che è già molto avanti nel suo lavoro: è già nella fase dei Lager e delle torture compiute dai croati. I croati torturano a scopo preventivo, perché temono che lo stesso destino patirebbero se cadessero in mano bosmaca. In una guerra civile fra più di due popoli ruotano e cambiano gli alleati e i nemici. I soldati A che vedono soldati B scaricare cannonate sui soldati C, comprano decine di cannonate per far proseguire il cannoneggiamento più a lungo. Sono le «granate in affìtto». Gh assediami di una città capiscono (l'hanno nel Dna) che la città assediata non è un formicaio che si schiaccia, ma un budello che va svuotato: lo devi stringere «a corona» (un concetto che torna spesso) da tutti i lati meno uno. Il lato libero facilita la fuga, accelera la conquista. L'elemento essenziale da far mancare agli alleati è il sale. Dopo mesi di nutrimento senza sale le ginocchia si piegano. I musulmani assediati comprendono che la storia che racconteranno non sarà credibile, perciò mantengono in vita piccole comunità serbe che facciano da testimoni. Ma questi serbi prigionieri saranno immediatamente uccisi dai serbi liberatori, che hanno recuperato lo stesso ragionamento nel loro Dna. Il panico di fronte ai guerrieri neri di Arkan si supera fabbricando guerrieri super-Arkan: nel libro scorrono a più riprese le tigri di Arkan e la Trentasettesima divisione musulmana. Sul caos della guerra civile tra più popoli passano le spedizioni dei Beati Costruttori di Pace che lasceranno la loro vittima sul ponte di Vrbania. Esco dai limiti in cui si contiene Rastello per dire che come la vocazione alla guerra contiene l'omicidio, così la vocazione alla pace contiene il suicidio: le spedizioni pacifiste vanno là dove si chiede la morte e si offrono in risposta. La strategia militare oggi deve includere l'uso dei pacifisti: probabilmente non lo si studia nelle scuole di guerra, ma lo si impara appena una guerra scoppia. Nella cittadina di Bijeljina arrivano gli assediami con un auto su cui issano un'insegna luminosa che dice: «Massacro», e poco dopo il massacro comincia. Per i protagonisti che hanno patito al di là del raccontabile e quelli che hanno fatto patire al di là del confessabile, la conclusione la tira uno per tutti: «Era meglio non esser nato». Quel che ha capito non gli spiega qualcosa della storia, ma qualcosa della natura. Non l'errore, l'interesse, l'egoismo: ma il male, la colpa. Ecco perché il pacifismo, come non vuole la vendetta militare, così «non vuole la giustizia» a guerra conclusa: il pacifismo è sacrificio, come la guerra è massacro; non punta a un cambiamento della politica, ma dell'uomo. Un'immagine di Sarajevo, fra le città dolenti del reportage di Luca Rastello LA GUERRA IN CASA Luca Rastello Einaudi pp. 276 L. 24.000

Persone citate: Luca Rastello, Rastello

Luoghi citati: Jugoslavia, Sarajevo, Torino